America ed Europa davanti alla crisi

crisi 1929

America ed Europa davanti alla crisi

[1929]

 

La crisi nel mondo

Nei mesi che seguirono l’ottobre 1929, la produzione industriale andò rapidamente crollando in tutti i paesi del mondo, con l’eccezione dell’URSS, del Giappone e dei paesi scandinavi. 

La tabella seguente, posta uguale a 100 la produzione industriale dell’ottobre 1929, riporta la situazione nei vari paesi nel 1932:

U.R.S.S. 183 Olanda 84 Francia 72 Polonia 63
Giappone 98 Regno Unito 84 Belgio 69 Canada 58
Norvegia 93 Romania 82 Italia 67 Stati Uniti 53
Svezia 89 Ungheria 82 Cecoslovacchia 64 Germania 53

Sul piano internazionale, la crisi si manifestò con la contrazione del commercio che comportò l’adozione da parte dei diversi paesi di dazi doganali nei confronti dei prodotti esteri. La Società delle Nazioni convocò una riunione nel febbraio del 1930 per una sorta di tregua doganale che però non fu mai attuata.

La disoccupazione superò nel 1932 i 25 milioni di unità e colpì maggiormente i paesi industrializzati, dove le possibilità di lavoro agricolo erano minori. In molti paesi la crisi fu aggravata dal ritiro dei capitali che gli Stati Uniti vi avevano investito: fu questo uno dei fattori che fecero precipitare l’economia tedesca e che determinarono in Germania l’ascesa al potere di Hitler.

Il 1933 segnò l’inizio della ripresa, che però non avvenne contemporaneamente in tutti i paesi. Essa culminò nel 1937, facendo ritenere che ci sarebbe stata una nuova fase di sviluppo, ma già sul finire di quell’anno si poterono rilevare i segni di una nuova recessione, che non si verificò solo perché il mondo aveva ormai imboccato la strada del riarmo e della guerra. 

L’intervento statale e la fine del liberismo

L’interventismo statale assunse in primo luogo la caratteristica di un aumento della spesa pubblica, la cui riduzione era stata, invece, uno dei punti fermi delle politiche deflazionistiche adottate nella prima fase della crisi. Negli Stati Uniti, più che di un aumento della spesa per investimenti, si trattò di un aumento della spesa corrente, finalizzata a un rilancio dei consumi interni tale da stimolare la ripresa produttiva. In Germania, al contrario, il governo nazista privilegiò i lavori pubblici e gli armamenti. Forma efficace di intervento fu il sostegno a industrie in crisi, sia con finanziamenti agevolati sia con interventi volti a migliorarne l’organizzazione interna. In Italia con la costituzione dell’IMI (1931) e dell’IRI (1933) si mirò da un lato allo smobilizzo finanziario e dall’altro alla riorganizzazione del sistema industriale.

America ed Europa davanti alla crisi

Negli Stati Uniti si era già affermata la produzione di beni di consumo di massa che in Europa era molto meno sviluppata. Nel 1928 si producevano negli Stati Uniti quasi cinque milioni di autovetture, mentre la Francia, il principale produttore europeo, non raggiungeva che le 223000 e la Germania le 90 000. L’industria americana dipendeva da un mercato interno caratterizzato dai consumi di massa (ad es. di telefoni, elettrodomestici, radio, ecc.), diversamente dall’industria europea. Questa situazione spiega in parte perché in Europa l’idea keynesiana di superare la crisi mediante il rilancio della domanda interna non ebbe successo, mentre negli Usa fu il nucleo teorico del New Deal. 

John Maynard Keynes

L’economista John Maynard Keynes (1883-1946), nel suo libro Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, cercò di capire in che modo si potesse superare questa grave crisi del capitalismo.

Secondo Keynes la depressione nasce dalla riduzione del volume degli investimenti, che comporta un calo della produzione, da cui consegue una riduzione dell’occupazione e dei consumi, che a sua volta incide negativamente sulle prospettive di guadagno degli imprenditori, facendo diminuire ulteriormente gli investimenti. Si genera così una reazione a catena per cui occupazione, produzione, prezzi e profitti diminuiscono e in particolare gli imprenditori non hanno convenienza a investire. Secondo Keynes lo Stato può cercare di arrestare questo circolo vizioso (riduzione di investimenti/riduzione di consumi/riduzione degli investimenti e via di seguito) tramite una qualificata spesa pubblica addizionale che può invertire la tendenza, attraverso il rilancio dei consumi. 

 

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