Imperialismo – tesi

Imperialismo – tesi

da John Hobson, “Imperialismo” (1902)

[…] la classe degli investitori e degli speculatori in generale desidera [anche] che la Gran Bretagna prenda altre terre straniere sotto la sua bandiera in modo da assicurarsi nuove aree per investimenti e speculazioni profittevoli.

Se è probabile che gli interessi particolari dell’investitore si scontrino con l’interesse pubblico e portino a una politica rovinosa, ancor più pericolosi a questo riguardo sono gli interessi particolari del finanziere, cioè di chi compra e vende i titoli di investimento. […] La ricchezza di queste aziende finanziarie, l’ampiezza delle loro operazioni e la loro organizzazione cosmopolita fa di loro i principali determinanti della politica imperialista. Essi hanno gli interessi maggiori negli affari economici dell’imperialismo, e hanno anche i mezzi per piegare al loro volere la politica della nazione. […] La finanza manipola le forze patriottiche di politici, soldati filantropi e agenti di commercio […]

da A. Hobson, L’imperialismo, Isedi, Milano 1974, pp.50-55

da Lenin, “L’imperialismo, fase suprema del capitalismo” (1917)

L’imperialismo è dunque il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo, in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l’esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è cominciata la ripartizione del mondo tra i trust internazionali, ed è già compiuta la ripartizione dell’intera superficie terrestre tra i più grandi Paesi capitalistici.

da Lenin, L’imperialismo fase suprema del capitalismo, Editori Riuniti, Roma 1970

Lettura: da Joseph Schumpeter, “Sociologia dell’imperialismo” (1919) 

L’imperialismo […] rientra nel vasto gruppo di quelle sopravvivenze di epoche remote […] e quindi, dal punto di vista dell’interpretazione economica della storia, con modi di produzione, non attuali ma trascorsi. […] Poiché le esigenze vitali che l’hanno generato si sono per sempre esaurite, anch’esso deve a poco a poco scomparire […]

In tutto il mondo del capitalismo, e fra gli elementi della vita sociale moderna da esso forgiati, si è venuta determinando un’ostilità di principio alla guerra, all’espansione, alla diplomazia segreta, agli armamenti, e agli eserciti di mestiere […] ne segue che il capitalismo è per essenza antimperialistico, e che non possiamo dedurne senz’altra mediazione le tendenze imperialistiche che effettivamente oggi persistono; anzi, possiamo intenderle soltanto come elementi estranei, introdotti nel suo mondo dall’esterno, poggianti su fattori non-capitalistici della vita moderna.

da J. Schumpeter, Sociologia dell’imperialismo, Laterza, Bari 1972

Lettura: da Eric Hobsbwam, “L’età degli imperi” (1987)

[…] Più convincente, come movente generale dell’espansione coloniale, è la ricerca di mercati. Il fatto che questa fosse spesso delusa è irrilevante. L’idea che la crisi di “sovrapproduzione” della grande depressione potesse essere risolta con una forte spinta alle esportazioni era diffusa. Gli uomini d’affari, sempre inclini a riempire di potenziali clienti gli spazi vuoti della mappa del commercio mondiale, guardavano […] a queste aree non sfruttate […]

Ma il nodo della situazione economica globale era che una serie di economie sviluppate sentivano simultaneamente lo stesso bisogno di nuovi mercati. Se queste economie erano abbastanza forti, il loro ideale era la “porta aperta” sul mercato del mondo sottosviluppato; ma, se non lo erano, speravano di ritagliarsi una fetta di territori che in virtù del diritto di proprietà dessero agli imprenditori nazionali una posizione di monopolio, o almeno un sostanziale vantaggio. La spartizione delle zone non occupate del Terzo Mondo fu la logica conseguenza; derivata, in un certo senso, dal protezionismo che dal 1879 aveva guadagnato terreno quasi dappertutto. […] il “nuovo imperialismo” fu il sottoprodotto di un’economia internazionale basata sulla rivalità di varie economie industriali concorrenti, intensificata dalle tensioni economiche degli anni 1880.

[E. Hobsbawm, L’età degli imperi, Laterza, Roma-Bari 1987, pp. 77-78

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