Iran, Iraq, Siria e Afghanistan

Cinque uomini

Medio Oriente

Iran, Iraq, Siria e Afghanistan

 

La repubblica islamica in Iran

khomeiniNel 1979 l’ultimo scià di Persia (Iran), Mohammad Reza Pahlavi, fu spodestato. Le forze di opposizione allo scià, di ispirazione religiosa e laica, si riunirono intorno alla figura carismatica dell’Ayatollah Ruhollah Khomeini, confinato in esilio, prima in Iraq poi a Parigi. Le proteste di massa iniziarono nel 1978 avviando una serie di manifestazioni di protesta che portarono al blocco del paese. 

Inizialmente furono i Fedayyin-e khalq (“volontari del popolo”) d’ispirazione marxista, che decisero di unirsi ai mujaheddin islamici per coinvolgere nella lotta ampi strati della popolazione. Le forze di sinistra ritennero erroneamente di poter limitare il potere del clero, in un paese ormai laico e moderno, ma il clero sciita divenne in breve tempo l’unico riferimento della rivolta. Il clero aveva un’organizzazione capillare sul territorio, tramite le moschee e le scuole religiose, e l’obiettivo di imporre la dottrina del velāyet-e faqīh (governo del giurista-teologo) in base alla quale l’unica autorità che avesse il diritto a governare era quella religiosa.

Khomeyni dal suo esilio parigino incitava alla rivoluzione attraverso messaggi registrati su audiocassette che venivano diffuse in tutto il paese, mentre lo scià tentò invano di salvare il suo trono mediante la nomina di Shapur Bakhtiar a primo ministro, che accettò a condizione che il sovrano lasciasse temporaneamente il paese. Gli Stati Uniti ritirarono il loro appoggio a Reza Pahlavi, che abbandonò l’Iran il 16 gennaio 1979.

Bakhtiar concesse la libertà di stampa, indisse libere elezioni e bloccò la fornitura di petrolio a Israele e Sudafrica, ma Khomeni non riconobbe il suo governo e annunciò il prossimo ritorno in patria, che avvenne il 31 gennaio 1979. Le manifestazioni a favore dell’ayatollah si moltiplicarono e a Bakhtiar non restò che darsi alla fuga. Khomeini, capo del consiglio rivoluzionario, assunse di fatto il potere, sebbene Mehdi Bazargan fosse stato nominato alla carica di primo ministro provvisorio. 

Mentre gli uomini del vecchio regime venivano sommariamente processati e giustiziati dai tribunali rivoluzionari, il 30 marzo 1979 un referendum sancì la nascita della Repubblica Islamica dell’Iran. Furono banditi bevande alcoliche, gioco d’azzardo e prostituzione, iniziarono le persecuzioni contro gli omosessuali, fu introdotta la pena di morte per lo stupro e l’adulterio e per chiunque assumesse comportamenti non conformi alla shari’a. Fu imposto alle donne di coprire braccia e gambe con abiti non succinti, e di coprire il capo con un velo.

La nuova costituzione prevedeva due ordini di poteri: quello politico tradizionale rappresentato dal Presidente della Repubblica e dal Parlamento, con compiti puramente gestionali, e quello di ispirazione religiosa affidato a una Guida Suprema coadiuvata da un Consiglio dei Saggi, a cui fu demandato l’effettivo esercizio del potere. Fu istituito anche il Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica (pasdaran).

L’Iran chiese l’estradizione di Reza Pahlavi, che era malato di cancro e si stava curando negli Stati Uniti, che rifiutarono di consegnarlo. Questo innescò manifestazioni di protesta anti-americane da parte degli studenti universitari, alcune centinaia dei quali il 4 novembre 1979 penetrarono nell’ambasciata americana a Teheran e presero in ostaggio 52 diplomatici e funzionari. Il 25 aprile 1980 il presidente statunitense Jimmy Carter ordinò un’operazione di salvataggio (Operazione Eagle Claw), che però si concluse con la morte di otto militari statunitensi. La vicenda si concluse nel gennaio 1981 con la liberazione degli ostaggi in cambio della fornitura di armi all’Iran, impegnato nella guerra contro l’Iraq, anch’esso finanziato e armato dagli USA. 

L’Iraq dal mandato inglese a Saddam

Dopo la Prima guerra mondiale le truppe britanniche occuparono l’odierno Iraq (fino ad allora provincia ottomana). In base all’accordo Sykes-Picot tra Regno Unito e Francia, il 25 aprile 1920 fu presentata alla Società delle Nazioni una bozza che attribuiva alla Gran Bretagna il mandato di amministrare l’Iraq in vista della sua futura indipendenza. Tuttavia, lo scoppio di una rivolta anti-britannica portò il paese a  un’immediata semi-indipendenza, con la politica estera e militare sotto il controllo britannico, oltre al diritto di intervento in altri campi. 

Nel 1921 l’emiro Faysal ibn al-Ḥusayn, cacciato dal trono in Siria dall’esercito francese, fu consacrato re dell’Iraq (Faysal I). Il periodo di amministrazione britannica finì il 3 ottobre 1932 e venne riconosciuta l’indipendenza dell’Iraq, che restò legato alla Gran Bretagna da un trattato venticinquennale di alleanza che consentiva la permanenza di basi militari inglesi. Inoltre, i britannici controllavano gran parte delle risorse petrolifere attraverso la Iraqi petroleum company. 

Morto Faysal nel 1933, gli successe il figlio Ghazi, scomparso nel 1939, e quindi Faysal II, sotto la reggenza dello zio, l’emiro Abdul Ilah fino al 1953, quando raggiunse la maggiore età. I fermenti nazionalistici e antibritannici, manifestatisi fin dagli anni Venti e cresciuti durante la Seconda guerra mondiale, si rafforzarono dopo il 1945. 

La monarchia mantenne tuttavia solidi legami con Londra e una politica filoccidentale, con la partecipazione al “Patto di Baghdad”, l’alleanza militare fra Turchia, Pakistan e Iraq, sotto l’egida statunitense, contro l’estensione dell’influenza sovietica in Medio Oriente. 

Il 14 luglio 1958 un colpo di Stato dell’esercito portò alla caduta del regime monarchico e fu proclamata la Repubblica. Il giovane Re Faisal II e Abdul Ilah furono uccisi. Protagonisti della rivolta furono gli “Ufficiali Liberi” con a capo Abd al-Karim Qasim e il suo vice, il colonnello Abd al-Salam Arif.

Dopo l’abbattimento della monarchia si accentuarono i contrasti tra le forze nazionaliste e panarabe, e l’opposizione curda diede vita dal 1961 a un’estesa guerriglia.

L’8 febbraio 1963 Qasim fu ucciso nel corso di un colpo di Stato che portò al potere il partito Ba’ath (Partito del Risorgimento Arabo Socialista – “Al Baath”: La rinascita) unitamente agli indipendentisti nazionalisti (il partito “Al Istiqlal”: L’indipendenza). Nacque così un nuovo governo con alla presidenza Abd al-Salam Arif per gli indipendentisti nazionalisti e Ahmad Hasan al-Bakr come presidente del consiglio per il Ba’ath. 

Il 18 novembre 1963 il Ba’ath fu eliminato dalla scena governativa da un altro colpo di Stato, del colonnello Abd al-Salam Arif. Dopo la morte in un incidente aereo (1966) di quest’ultimo sarà suo fratello, il colonnello Abd al-Rahman Arif a guidare il Paese. Il 17 luglio 1968 il Ba’ath fu riportato al potere da un nuovo colpo di Stato, guidato dal generale Ahmad Hasan al-Bakr, quarto presidente della repubblica dell’Iraq. 

Il 30 giugno 1971 fu approvato uno storico decreto per la nazionalizzazione della I.P.C. “Iraq Petroleum Company” e per il paese ebbe inizio un periodo di prosperità. L’Iraq instaurò buoni rapporti con l’URSS, mentre quelli con i paesi occidentali, con i paesi arabi moderati e con Israele rimasero difficili. Nel 1975 si giunse a un accordo con l’Iran sui confini sullo Shatt al-Arab (accordo di Algeri), in cambio di una cessazione del sostegno di Teheran alla guerriglia curda. Dopo la rivoluzione islamica in Iran, i rapporti tra i due Stati subirono un nuovo deterioramento e l’Iraq rimise in discussione l’accordo di Algeri.

Saddam Hussein al potere e la guerra tra Iraq e Iran

Cinque uominiIl 16 luglio 1979 il presidente Ahmad Hassan Al Bakr si dimise in favore del suo vice Saddam Hussein, che eliminò tutti i suoi oppositori all’interno del partito.

Nel 1980 scoppiò la guerra fra l’Iran e l’Iraq di Saddam, che la iniziò senza dichiararla, con un attacco di sorpresa nella notte tra il 22 e il 23 settembre 1980, con un massiccio attacco aereo e terrestre.

Secondo Saddam, la vittoria sull’Irān sarebbe stata facile e veloce: 

  • l’Iran era sull’orlo di una guerra civile; 
  • il suo esercito era allo sbando, falcidiato dai processi dei Tribunali rivoluzionari; 
  • l’Iran era isolato sul piano internazionale, dopo la vicenda dell’assalto all’ambasciata americana a Teheran; 
  • gli Stati Uniti avevano decretato l’embargo sul petrolio iraniano e sospeso le forniture di armi. 

Il calcolo di Saddam si rivelò però sbagliato. Grazie agli armamenti forniti dai paesi occidentali e alla netta superiorità aerea e navale, in un primo momento l’Iraq riuscì a sbaragliare le forze avversarie. La resistenza iraniana fu tuttavia più tenace del previsto. L’appello alla resistenza lanciato da Khomeini raccolse centinaia di migliaia di volontari. L’Iran lanciò la prima controffensiva nel gennaio del 1981, poi, dal 1982 riuscì a fermare l’avanzata irachena e a penetrare a sua volta in territorio nemico. Iniziò così una guerra di logoramento, con i due eserciti attestati lungo le trincee e piccole porzioni di territorio che passarono più volte da una mano all’altra, senza che nessuna delle due parti riuscisse a prevalere.

La guerra durò dal 1980 al 1988 e causò oltre un milione di vittime. In aprile del 1988 un massiccio attacco iracheno per liberare Al-Faw segnò la fine del conflitto. Entrambi i paesi ne uscirono stremati e finirono con l’accettare la risoluzione n. 598 dell’ONU, che prevedeva la cessazione delle ostilità. Il 20 agosto 1988 la guerra si concluse senza un vincitore.

La prima guerra del Golfo

golfoSaddam Hussein si ritrovò a gestire una difficile situazione politica, in cui rischiava di perdere il potere.Tra l’altro l’Iraq, a causa della guerra, aveva accumulato un enorme debito, in particolare nei confronti dell’Arabia Saudita e del Kuwait. Riyad e Kuwait City rifiutarono di condonare il debito di Baghdad e di limitare la produzione petrolifera per consentire un rialzo del prezzo del greggio, come chiedeva Saddam. 

Il 17 luglio 1989, nell’anniversario della “rivoluzione”, Saddam accusò il Kuwait di sottrarre petrolio dai pozzi di Rumaila e di affamare l’Iraq con la richiesta di alzare la propria quota OPEC. Inoltre, chiese di ridisegnare la frontiera fra i due paesi. Il 2 agosto 1990 le truppe irachene entrarono in Kuwait, che fu quasi completamente occupato. Il presidente americano George Bush Sr si fece paladino della liberazione del Kuwait, raccogliendo sotto la bandiera dell’ONU una vasta coalizione.

Scaduto l’ultimatum dell’ONU all’Iraq per il ritiro dal Kuwait (15 gennaio 1991) alle 2:45 am del 17 gennaio 1991 iniziò la Prima guerra del Golfo, con l’intervento degli Stati Uniti e dei paesi alleati.

Il 26 febbraio 1991 Saddam accettò di ritirare le truppe irachene dal Kuwait entro 24 ore e le risoluzioni dell’ONU. Il 27 febbraio 1991 vi fu la Dichiarazione del cessate il fuoco. Saddam dovette ritirarsi dal Kuwait, riconoscendone l’integrità territoriale, ma riuscì a mantenere il potere e, forte dell’appoggio dell’esercito, scatenò una dura repressione delle minoranze curda e sciita, che avevano tentato di insorgere, dopo la fine del conflitto.

La seconda guerra del Golfo

Cinque uominiNella parte restante degli anni Novanta vi fu un crescendo di tensioni, alternate a tentativi di conciliazione, tra l’Iraq e le potenze occidentali, in particolare gli Stati Uniti. La popolazione irachena dovette subire le conseguenze dell’embargo nei confronti del paese, che restò in vigore fino al 2003, benché attenuato nel 1996 con l’attivazione del programma ONU “Oil for Food” (“petrolio in cambio di cibo”). 

Le tensioni tra Iraq e USA si riaccesero all’indomani degli attacchi terroristici del 2001. Alla fine del 2002, nonostante Saddam avesse autorizzato la presenza in Iraq degli ispettori dell’ONU, gli Usa e la Gran Bretagna lo accusarono ripetutamente di non adempiere agli obblighi imposti, di nascondere armi di distruzione di massa e di essere complice del terrorismo islamico. 

Così, il 20 marzo 2003 USA e Gran Bretagna diedero inizio all’invasione dell’Iraq che si concluse all’incirca un mese dopo, con la caduta di Baghdad e delle altre principali città del paese. Nonostante la cattura di Saddam nel dicembre del 2003, la guerra proseguì negli anni successivi nelle forme di un’estenuante guerriglia che causò migliaia di vittime. 

Negli anni successivi alla guerra la situazione del paese è stata molto instabile, in particolare per la minaccia dei gruppi terroristici sunniti guidati dal jihadista e terrorista giordano Abu Musab al-Zarqawi e delle milizie sciite guidate dal politico iracheno e capo del movimento sadrista Muqtada al-Sadr. La stabilità e la governabilità del paese è stata ed è ancora estremamente difficile e con risultati alterni. Un primo parziale ritiro delle forze armate statunitensi vi fu nel 2007, mentre alla fine del 2011 il presidente americano Barak Obama annunciò la fine della missione militare in Iraq e il ritiro completo delle truppe.

Facendo leva sull’appoggio della comunità minoritaria sunnita, nel 2006 nacque lo Stato islamico dell’Iraq (Isi), come successore del gruppo Al-Qaida in Iraq. Dopo lo scoppio della guerra civile siriana il gruppo si diffuse anche in Siria, prendendo il nome di Stato islamico dell’Iraq e della Siria (Isis), sotto la guida di Abu Bakr al-Baghdadi. Questi, nel giugno del 2014, dichiarò l’istituzione del califfato nei territori conquistati in Iraq e in Siria. 

La Siria di al-Asad

Durante la Prima guerra mondiale la Siria si ribellò all’Impero ottomano, reclamando l’indipendenza. Finita la guerra, la Siria dovette sottostare a un mandato francese assegnato dalla Società delle Nazioni. Il 17 aprile 1936 fu firmato un trattato franco-siriano che riconosceva l’indipendenza del paese. Il trattato tuttavia non fu ratificato e la Siria era ancora sotto il controllo francese allo scoppio della Seconda guerra mondiale.

Finita la guerra, dopo una fase di duri scontri la Francia riconobbe l’indipendenza del paese (1º gennaio 1946). Dopo l’indipendenza si ebbe un periodo di instabilità, con ben tredici colpi di Stato. L’orientamento nazionalista e panarabo indusse la Siria a far parte dell’effimera Repubblica Araba Unita (1º febbraio 1958 – 28 settembre 1961), con l’Egitto del colonnello Nasser. 

In seguito a un colpo di Stato, l’8 marzo 1963 s’impadronì del potere in Siria il partito Baʿath, che abbandonò la linea panaraba e si avvicinò all’URSS. Nel 1970 prese la guida del paese il generale Hafiz al-Asad, che fu eletto presidente della Repubblica e instaurò un regime autoritario. Tra il 1971 e il 1977 al-Asad partecipò al tentativo di fondare una Federazione delle Repubbliche Arabe con Egitto e Libia e nel 1976 intervenne nella guerra civile libanese imponendo una sorta di protettorato siriano sul Libano, durato fino al 2005.

Quando scoppiò la guerra Iran-Iraq (1980-1988) la Siria prese posizione a favore dell’Iran. Dopo l’invasione irachena del Kuwait, al-Asad si schierò con la coalizione guidata dagli USA contro Saddam Hussein. Nel giugno 2000 al-Asad morì, e il 17 luglio gli succedette il figlio Bashshār al-Asad. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 i rapporti con l’Occidente si incrinarono e Bashar si oppose all’invasione americana dell’Iraq (2003).

Crisi del regime di al-Asad

Nel 2011 in Siria si svolsero grandi manifestazioni popolari che chiedevano maggiore libertà e democrazia. I manifestanti chiesero la caduta del regime e il governo represse duramente le manifestazioni. Scoppiò così la guerra civile, nella quale la guida del movimento insurrezionale fu assunta dall’Esercito siriano libero (ESL). 

Intanto, diversi gruppi armati si inserirono nel conflitto, in particolare le milizie curde dell’Ypg e i miliziani dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. La Russia intervenne a favore del governo di al-Asad, mentre una coalizione a guida statunitense fornì sostegno alle milizie curde dell’Ypg, che combattevano contro le forze dello Stato Islamico.

Il terrorismo e al Qaida

Fino al 1989 (anno in cui l’Armata rossa si ritirò dall’Afghanistan), l’Arabia Saudita e altri paesi arabi erano riusciti a “dirottare” verso l’Afghanistan la minaccia dell’islamismo radicale, finanziando la guerriglia afghana contro l’URSS.

Con la fine della guerra le forze islamiste radicali, in particolare al Qaida (al-Qā̔ida: “la Base”), organizzazione guidata da Osama bin Laden (Usāmah ibn Lādin), individuarono il nuovo nemico da combattere negli Stati Uniti e nei regimi arabi loro alleati, tanto più se, come l’Arabia Saudita, permettevano che “truppe di infedeli” calpestassero il sacro suolo dell’Islam, come accaduto nella prima guerra del Golfo contro Saddam.

Una prima conseguenza della fine del conflitto fu il rientro in patria di molti “gihadisti” che avevano combattuto in Afghanistan, con l’intento di creare nei paesi d’origine uno Stato islamico. In Algeria, ad esempio, il ritorno in patria dei combattenti dall’Afghanistan impresse una svolta alla guerriglia che il Fronte islamico di salvezza (FIS) aveva iniziato contro l’esercito. Quando nel 1992 furono invalidate le elezioni vinte dal FIS, nel paese scoppiò una cruenta guerra civile, durata fino al 1999. 

Una seconda conseguenza fu l’attuazione di una serie di attentati terroristici che colpirono in particolare gli Stati Uniti, messi in atto, in particolare, da Al Qaeda. Nel 1991 Osama bin Laden trasferì il proprio quartier generale a Khartum (Sudan), dove restò fino al 1996, per poi trasferirsi in Afghanistan, nell’anno della presa del potere da parte dei talebani. Fin dalla permanenza di Osama in Sudan, Al Qaeda iniziò a organizzare una serie di attentati contro cittadini, basi militari e strutture degli Stati Uniti:

  • nel 1992 furono colpiti alcuni alberghi in Yemen frequentati dal contingente militare americano impegnato in Somalia nella missione Restore Hope; 
  • nel 1993 vi fu un primo attentato contro il World Trade Center di New York;
  • il 7 agosto 1998, due attentati suicidi simultanei con camion bomba colpirono le ambasciate americane di Nairobi, in Kenya, e di Dar es-Salaam, in Tanzania, causando 224 morti; 
  • il 12 ottobre 2000, nello Yemen, un attacco suicida per mezzo di una barca imbottita di esplosivo contro una nave militare americana, la USS Cole, fece 27 morti; 
  • l’11 settembre 2001 quattro attacchi suicidi mediante quattro aerei dirottati abbatterono le Twin Towers (Torri Gemelle) di New York e colpirono il Pentagono e la Casa Bianca (il quarto aereo cadde al suolo per la reazione dei passeggeri).

L’azione terroristica dell’11 settembre causò circa 3000 vittime: oltre ai 19 dirottatori, 2.974 morti e 24 dispersi, tutti civili, a parte 55 militari uccisi nell’attentato contro il Pentagono. Dopo l’11 settembre gli Usa dichiararono “guerra al terrore” e attaccarono l’Afghanistan, accusando il regime dei talebani di dare rifugio e protezione a Osama Bin Laden.

La guerra in Afghanistan (2001-2021)

Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti imputarono ai talebani il rifiuto di consegnare loro Osama Bin Laden e di ospitare nel proprio territorio una rete di campi di addestramento di al Qaida.

Il 7 ottobre 2001 ebbe inizio la prima fase dell’operazione Enduring Freedom (Operazione Libertà Duratura), con intensi bombardamenti di aerei britannici e americani a sostegno dell’invasione del territorio controllato dai talebani da parte dei gruppi afghani dell’Alleanza del Nord. In seguito vi fu anche la presenza sul territorio afghano di truppe occidentali, in particolare statunitensi e britanniche, per sostenere il nuovo governo afghano guidato da Hamid Karzai. 

Il 2 maggio 2011, le forze statunitensi condussero un’incursione in Pakistan ad Abbottabad, vicino ad Islamabad, uccidendo Bin Laden.

Nonostante l’iniziale successo militare dell’operazione Enduring Freedom, con fasi alterne, l’Afghanistan rimase però in una situazione di grave conflittualità interna e, a distanza di vent’anni dall’invasione, nel maggio 2021 le truppe occidentali si sono ritirate dal paese. In concomitanza con tale ritiro, le forze talebane hanno riconquistato larga parte del territorio e il 15 agosto sono entrate nella capitale Kabul.