Israele, Palestina e Paesi arabi

Medio Oriente

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Israele, Palestina e Paesi arabi

 

Il sionismo e la dichiarazione Balfour

Il sionismo, movimento politico volto alla creazione di uno Stato nazionale ebraico in Palestina, nacque in risposta all’antisemitismo europeo della fine dell’Ottocento. Il ritorno degli ebrei europei in Palestina trovò un fondamento ideologico nell’opera di Theodor Herzl, intellettuale ebreo-ungherese. In Palestina gli Inglesi, in base alla dichiarazione Balfour, favorirono l’insediamento di comunità ebraiche che divennero sempre più numerose, prima sotto la spinta dei pogrom nell’Europa orientale, poi dell’antisemitismo culminato nella Shoah.

Viceversa, il nazionalismo arabo fu segnato da un’opposizione costante alla presenza ebrea nella regione. Le tensioni tra sionisti e palestinesi culminarono in scontri aperti già nel 1920, nel 1929 e, soprattutto, nella grande rivolta araba del 1936-1939, che provocò la repressione inglese. 

La nascita di Israele

Dopo la guerra, nel 1947 la Gran Bretagna rimise il mandato sulla Palestina nelle mani dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), erede della Società delle Nazioni. Il 29 novembre 1947 l’ONU votò una risoluzione che prevedeva la divisione della Palestina in due Stati, uno ebraico e uno arabo, e manteneva sotto il controllo internazionale l’enclave di Gerusalemme, sede dei principali luoghi di culto delle tre religioni monoteiste: l’ebraismo, il cristianesimo e l’Islam. I sionisti accettarono il piano di spartizione, che venne invece rifiutato dai palestinesi e da tutti i Paesi arabi. La guerra scoppiò sei mesi dopo. 

La prima guerra arabo-israeliana

Il 14 maggio 1948 Israele proclamò la propria indipendenza e nella notte tra il 14 e il 15 maggio fu invaso dagli eserciti di Egitto, Transgiordania, Siria, Libano, Iraq. Gli eserciti arabi furono però duramente sconfitti, così i palestinesi non ebbero più alcuno Stato e furono costretti a una dolorosa diaspora. Il territorio loro destinato fu suddiviso dagli armistizi di Rodi del 1949 tra l’Egitto, cui andò la Striscia di Gaza, e la Trangiordania, ribattezzata Giordania, cui fu assegnata la West Bank o Cisgiordania compresa Gerusalemme Est. Capitale del nuovo Stato ebraico divenne Gerusalemme Ovest.

Il conflitto arabo-israeliano si articolò poi in altri tre episodi bellici:

    • la crisi di Suez del 1956, 
    • la guerra dei sei giorni del 1967
    • la guerra del Kippur del 1973.

La crisi di Suez

Nasser
Gamal Abdel Nasser

I precedenti della crisi di Suez sono da ricercare nel piano egiziano per la costruzione della Diga di Assuan e nel rifiuto alla richiesta egiziana di prestiti per il suo finanziamento, da parte degli Stati Uniti e della Banca internazionale (19 luglio 1956). Così, il 23 luglio il presidente egiziano Nasser firmò un decreto che nazionalizzava la Compagnia Universale del Canale di Suez, i cui beni passavano a un ente autonomo egiziano, con lo scopo di ricavare i finanziamenti necessari alla costruzione della diga. Nella controversia si inserì anche il problema del passaggio delle navi israeliane attraverso il Canale che le autorità egiziane non permettevano.

Il 26 settembre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dopo vari tentativi di mediazione, votò all’unanimità (9 settembre) una risoluzione che tra l’altro affermava i principi della piena libertà di transito, del rispetto della sovranità egiziana, del pagamento dei pedaggi da effettuarsi secondo un accordo tra l’Egitto e gli utenti.

SuezIntanto, Francia e Regno Unito, d’intesa con Israele, predisposero un piano d’azione per l’occupazione della zona del canale di Suez (Operazione moschettiere). Esso prevedeva un attacco israeliano, con l’obiettivo di garantirsi l’accesso al canale e di mettere fine alle incursioni dei Fedayyìn. Francia e Inghilterra dovevano poi intervenire per imporre una tregua occupando l’area.

Infatti, il 29 ottobre 1956 l’esercito israeliano attaccò con successo l’Egitto nella penisola del Sinai. Il 30 ottobre, a operazioni appena iniziate, Inghilterra e Francia inviarono a Egitto e Israele un ultimatum, che chiedeva la cessazione delle ostilità e il ritiro delle truppe a 10 miglia dalle posizioni raggiunte e l’invio di una forza d’interposizione nell’area. 

A fronte del previsto rifiuto, il 31 ottobre iniziarono i bombardamenti anglo-francesi contro gli aeroporti egiziani, seguiti il 5 novembre dal lancio di paracadutisti. L’URSS allora offrì all’Egitto il suo appoggio e minacciò un intervento militare, se l’aggressione non si fosse fermata. Il 6 novembre iniziò lo sbarco delle forze anglo-francesi, mentre l’Assemblea straordinaria dell’ONU ordinò il cessate il fuoco, il ritiro degli attaccanti e l’invio di forze armate delle Nazioni Unite in sostituzione delle truppe anglo-francesi. L’avanzata israeliana si arrestò, mentre Gran Bretagna e Francia furono costrette, in particolare per le forti pressioni statunitensi e russe, a ritirarsi. Fu un colpo durissimo per le due declinanti potenze imperiali.

La guerra dei Sei giorni (1967)

sei giorniNel maggio 1967 la situazione precipitò di nuovo, quando Nasser chiese il ritiro dei caschi blu dell’ONU disposti lungo la frontiera del Sinai e bloccò il traffico navale nel golfo di Aqaba alle navi israeliane. 

Il 5 giugno Israele diede inizio a un nuovo conflitto, la cosiddetta “guerra dei sei giorni”, conclusasi con la disfatta delle forze armate egiziane. Le ostilità iniziarono con una serie di raid aerei israeliani: in poco meno di un’ora i caccia israeliani distrussero i tre quarti dell’aviazione egiziana, danneggiando pesantemente tutte le piste d’atterraggio. La stessa sorte toccò poi alla Siria e alla Giordania. 

Privati di copertura aerea su tutti i fronti, gli eserciti arabi furono facilmente sopraffatti nel corso di scontri fra truppe corazzate. Nei giorni che seguirono le forze israeliane occuparono militarmente la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza, l’intera Cisgiordania, Gerusalemme Est inclusa, sottratte alla Giordania e le alture del Golan alla Siria. 

La guerra del Kippur (1973)

Il conflitto successivo fu la Guerra del Kippur (dal nome della festività ebraica celebrata nel giorno in cui ebbe inizio), quando Siria ed Egitto cercarono di riconquistare i territori perduti nella guerra del 1967, con un attacco a sorpresa contro Israele (6 ottobre 1973). 

All’offensiva araba seguì la controffensiva israeliana. Con la risoluzione 338 (22 ottobre 1973), il Consiglio di sicurezza dell’ONU ottenne la cessazione dei combattimenti, seguita nel 1974-75 dagli accordi di disimpegno fra Israele, Egitto e Siria. Il 17 settembre 1978 si giunse agli accordi di Camp David, sottoscritti poi alla Casa Bianca dal presidente egiziano Anwar Sadat e dal primo ministro israeliano Menachem Begin, che condussero al trattato di pace israelo-egiziano del 1979 e al ritiro delle truppe israeliane dal Sinai. 

L’Organizzazione per la liberazione della Palestina

ArafatNel 1964 nacque l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), il cui nucleo era costituito dal gruppo di al-Fatah (al-Fatḥ: la Conquista). Al Congresso Nazionale Palestinese del Cairo del 3 febbraio 1969 Yasser Arafat fu eletto presidente del Comitato Esecutivo dell’OLP. I palestinesi ebbero il sostegno degli Stati arabi e dell’Unione Sovietica. Nel 1974 le Nazioni Unite riconobbero l’OLP, che costituì un governo in esilio. 

Settembre nero in Giordania

Dopo la guerra dei sei giorni (1967), molti profughi palestinesi trovarono rifugio in Giordania, costituendo una grossa minoranza della popolazione giordana. I guerriglieri palestinesi colpirono ripetutamente Israele con incursioni e attentati terroristici, attraversando il confine giordano. 

La crescente autonomia dei Fedayyìn in Giordania, tuttavia, iniziò a creare problemi: l’OLP era divenuta una sorta di “stato nello stato” e questo la pose in forte conflitto con il re di Giordania. Così, nel settembre 1970 (“settembre nero”), il governo giordano scatenò un’offensiva contro la guerriglia palestinese. Re Hussein, con l’appoggio israeliano, statunitense e britannico, sradicò le basi della guerriglia mettendo fine alla presenza organizzata dei palestinesi in Giordania. 

La guerra in Libano

Dopo la dura repressione subita in Giordania, l’OLP si trasferì in Libano, dove nel 1975 scoppiò una lunga e sanguinosa guerra civile, terminata nel 1989. Uno degli elementi che innescarono la guerra fu il contrasto tra la componente cristiana del Libano, che temeva di perdere la propria prevalenza demografica e politica in seguito all’arrivo dei profughi palestinesi, e la componente musulmana, che si sentiva discriminata. 

Ad alimentare e prolungare la guerra contribuirono l’intervento della Siria (1976), intenzionata a porre sotto tutela il Libano, e un primo intervento armato di Israele (1978), che intendeva mettere fine agli attacchi palestinesi, creando una zona di sicurezza.

Nel 1982 Israele invase il Libano, per porre fine agli attacchi che i guerriglieri palestinesi effettuavano sull’Alta Galilea. Il governo Begin-Sharon cercò di eliminare l’OLP come attore militare e politico, e di mettere la Siria fuori dei giochi libanesi. In pochi giorni le truppe israeliane arrivarono a Beirut, che fu cinta d’assedio. 

Gli USA imposero il “cessate il fuoco” e l’esodo da Beirut dell’OLP, che fu costretta a trasferirsi a Tunisi, nell’agosto del 1982, con la protezione di una Forza di pace multinazionale. Evacuata l’OLP, i campi profughi palestinesi rimasero indifesi e in balia delle milizie cristiano-maronite che a Ṣabra e Satila, il 16 settembre 1982, attuarono un massacro di civili con la complicità dell’esercito israeliano.

Hezbollah

In seguito all’invasione israeliana del 1982, l’Iran, con l’accordo e l’aiuto della Siria, inviò molti Pasdaran (Guardiani della Rivoluzione) per addestrare alla guerra la comunità musulmana sciita. Fece così la sua comparsa Hezbollah (il “Partito di Dio”). 

Il governo israeliano fu indebolito prima dallo scandalo di Sabra e Shatila, poi dalla crescita della guerriglia di Hezbollah contro le forze israeliane, che nel 1985 portò al graduale ritiro fino a una fascia di sicurezza nel sud del Libano. 

In Libano fu inviata una nuova Forza multinazionale, contro la quale Ḥezbollah sperimentò la propria strategia terroristica, tramite attentati con i kamikaze. Il 23 ottobre 1983, a Beirut, un duplice attentato dinamitardo alle basi della Forza multinazionale causò la morte di 241 marines statunitensi e di 58 soldati francesi. Nel febbraio 1984, moltiplicando attentati e rapimenti, Hezbollah costrinse la Forza multinazionale a ritirarsi dal Libano. Ḥezbollah fu presente soprattutto nel Libano meridionale e prese il posto del terrorismo palestinese, dalle cui postazioni cominciò ad attaccare la Galilea settentrionale. Hezbollah si scontrò anche con Amal, che fino al 1979 era stata la principale organizzazione sciita in Libano.

La guerra civile libanese si concluse nel 1989 con gli accordi di Taif, con la legittimazione della presenza siriana come garante della pace, per  un periodo di due anni (il ritiro avvenne solo nel 2005). La presenza  siriana in Libano fu avallata anche da George Bush sr come “premio” per la partecipazione della Siria alla coalizione contro l’Iraq. 

L’intifada e Hamas

IntifadaNel dicembre del 1987 scoppiò la prima intifaḍa (arabo intifā´ḍa “scuotimento”), una rivolta popolare sviluppatasi nei territori palestinesi occupati da Israele nel 1967. Estesa da Gaza alla Cisgiordania, fu caratterizzata da scioperi, dimostrazioni, scontri con le forze occupanti, azioni di disobbedienza civile. Tra le forze che diedero vita alla rivolta, si distinsero in particolare la Gihad islamica e Hamas (Ḥarakat al-Muqawama al-Islamiyya, Movimento della resistenza islamica). 

Nel 1988 Arafat guadagnò il favore internazionale per la causa palestinese, suscitato dall’intifada, riconoscendo il diritto all’esistenza di Israele, a patto che Israele riconoscesse il diritto dei palestinesi di costituire uno stato indipendente. Ma la nuova politica di Arafat andò incontro al totale rifiuto delle organizzazioni palestinesi estremiste, in particolare di Hamas.

Gli accordi di Oslo

Nell’autunno del 1991, George Bush Sr. convocò la Conferenza di Madrid che pose per la prima volta gli uni di fronte agli altri Israele e i suoi vicini arabi. Quando alle elezioni israeliane del 1992 vinse il Partito laburista e divenne premier Yitzhak Rabin iniziarono tra Israele e l’OLP, negoziati segreti a Oslo che il 13 settembre1993 portarono ai cosiddetti accordi di Oslo (firmati a Washington da Arafat e Rabin). 

Gli accordi prevedevano che nell’arco di cinque anni, dal 1993 al 1999, dovesse nascere uno Stato palestinese sui territori che gradualmente Israele avrebbe restituito all’Autorità nazionale palestinese (ANP).  Degli Accordi faceva parte una dichiarazione con cui Israele riconosceva come rappresentante del popolo palestinese l’OLP, la quale riconosceva il diritto di Israele a esistere.

l’assassinio di Yitzhak Rabin

Dopo l’assassinio di Yitzhak Rabin, il 4 novembre 1995, per mano di un fondamentalista ebraico, il suo successore Benjamin Netanyahu (della destra del partito Likud), eletto nel 1996, rallentò la restituzione dei territori e non fece nulla per frenare la colonizzazione ebraica. 

Camp David

L’atto finale degli accordi di Oslo fu il vertice di Camp David dell’estate 2000 dove Arafat (eletto nel 1996 alla presidenza dell’Autorità) e il nuovo premier israeliano, il laburista Ehud Barak, con la mediazione del presidente americano Bill Clinton, tentarono invano di evitare il fallimento del negoziato, rinfacciandosene poi l’un l’altro la responsabilità. Il vertice segnò la fine del processo di pace iniziato a Oslo nel 1993 e inaugurò una lunga fase di stallo nelle trattative, che fece crescere le tensioni e i conflitti.

Dalla seconda intifada alla morte di Arafat

L’esito negativo del vertice di Camp David scatenò la seconda intifada, scoppiata a Gerusalemme il 28 settembre del 2000, dopo una passeggiata nella Spianata delle moschee di Gerusalemme Est di Ariel Sharon, allora segretario del Likud. 

Alle elezioni israeliane del febbraio 2001 Sharon fu eletto premier e rispose con una repressione durissima, arrivando a fare occupare dall’esercito terre già restituite ai palestinesi, a legittimare omicidi mirati di leader palestinesi e a imporre posti di blocco capillari per impedire l’accesso indiscriminato di palestinesi in Israele. Il suo scopo era quello di prevenire gli attacchi terroristici della Gihad islamica, di Ḥamas e delle Brigate martiri di al-Aqṣā.

Il presidente americano G.W. Bush Jr, all’indomani dell’attentato alle Twin Towers e al Pentagono, finì per legittimare l’operato israeliano e accrebbe nei palestinesi la percezione che gli Stati Uniti non si ponessero più come arbitri o mediatori, anche se Bush tentò di presentarsi come tale con il lancio della cosiddetta Road Map nel 2003 che coinvolgeva anche la Russia, l’Unione Europea e l’ONU. 

Morto Arafat nel novembre 2004, la politica palestinese e il futuro dei negoziati tra palestinesi e Israele sono stati rivoluzionati dalla vittoria nelle elezioni del 25 gennaio 2006 di Hamas. Dalle difficoltà che Hamas ha incontrato nel governo dell’ANP dopo aver vinto le elezioni del 25 gennaio 2006 sono poi derivati ulteriori conflitti.

 

 

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