La crisi del Trecento

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La crisi del Trecento

La crisi del sistema produttivo.

Nel XIV secolo la lunga fase di espansione economica e di crescita demografica si interruppe e l’Europa fu investita da una grave crisi economica.

L’agricoltura non riuscì a soddisfare il fabbisogno della popolazione, notevolmente aumentata nei secoli precedenti; le risorse alimentari iniziarono a scarseggiare e l’Europa fu colpita da carestie. A innescare la crisi contribuì probabilmente un sensibile peggioramento del clima, che con inverni freddi e piogge intense danneggiò i raccolti e ridusse la popolazione alla fame. Le cause profonde della crisi furono lo squilibrio tra popolazione e risorse, nei limiti delle tecnologie produttive medievali applicate all’agricoltura e nell’incapacità del sistema feudale di investire in modo produttivo la ricchezza creata.

Il flagello della peste.

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Tra il 1348 e il 1350 una terribile pandemia di peste, proveniente dall’Oriente, colpì l’intera Europa, causando un impressionante crollo demografico: la popolazione si ridusse di un terzo e le attività economiche subirono un tracollo. Nell’impossibilità di trovare spiegazioni scientifiche e rimedi efficaci al contagio, il fanatismo religioso e popolare attribuì l’epidemia o all’ira di Dio per i peccati degli uomini, o alle minoranze religiose, come gli ebrei, che in molti casi furono sottoposti a persecuzioni e massacri. Solo nel 1894 il medico Alexandre Yersin isolò il bacillo della peste e scoprì che esso si annida nei topi ed è trasmesso all’uomo tramite la pulce. Le cattive condizioni igieniche contribuirono al diffondersi dell’epidemia.

Le conseguenze di lungo periodo

Agli effetti della crisi economica e della pandemia di peste si sommarono quelli delle guerre, tra cui la più importante fu quella dei Cent’anni tra Francia e Inghilterra. Per finanziarle i sovrani chiesero prestiti alle banche, ma quando non furono in grado di restituire il denaro ottenuto ne provocarono il fallimento. Nelle campagne la scarsità di prodotti fece aumentare i prezzi e la riduzione della manodopera fece aumentare i salari. La società subì profondi cambiamenti. Molti proprietari terrieri furono costretti a vendere i loro terreni a ricchi borghesi, che ne fecero aumentare il rendimento. Nel complesso l’aristocrazia feudale si indebolì, a vantaggio della borghesia. In Europa orientale e nell’Italia meridionale questi cambiamenti non si verificarono e la crisi ebbe come conseguenza l’aggravarsi dello sfruttamento dei contadini da parte dei nobili.

Rivolte e tensioni sociali

Il peggioramento delle condizioni di vita alimentò i conflitti sociali. In Francia, in Inghilterra e in Italia scoppiarono rivolte di contadini e di lavoratori contro i proprietari terrieri o contro i padroni, quasi sempre duramente represse. In Francia vi furono il fallito tentativo rivoluzionario promosso dai borghesi di Parigi, guidati da Etienne Marcel e una serie di rivolte contadine, tutte duramente represse, dette Jacqueries[1]. In Inghilterra vi fu la rivolta dei lollardi, mossa da ideali di uguaglianza evangelica e di giustizia sociale. In Italia, a Firenze, ebbe luogo nel 1378 il tumulto dei Ciompi[2], che rivendicavano condizioni migliori e diritti politici e che riuscì inizialmente a rovesciare l’oligarchia mercantile ma che fu poi sconfitto.

Premesse per la ripresa.

Per far fronte alla crisi furono rafforzate e riformate in senso accentratore le strutture delle monarchie nazionali degli stati regionali. Inoltre si perfezionarono le tecniche agricole, industriali, minerarie, militari, navali, commerciali e finanziarie, creando le premesse della ripresa non solo economica ma anche culturale che fiorirà con l’Umanesimo e il Rinascimento.


[1] Jacqueries: Il contadino francese veniva dispregiativamente denominato «Jacques bon homme».

[2] Ciompi: i salariati soprattutto del settore della lavorazione della lana (addetti alla pettinatura e alla cardatura).

 

 

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