La decolonizzazione

decolonizzazione

La decolonizzazione

 

significato del termine

Con il termine decolonizzazione si indica il processo storico che portò alla fine degli imperi coloniali europei e all’indipendenza delle loro colonie asiatiche e africane, iniziato con la Seconda guerra mondiale e proseguito fino a metà degli anni Settanta. 

Le cause

Le cause principali di questo fenomeno furono: 

  • la crisi delle potenze europee sconfitte o indebolite dalla guerra; 
  • la lotta per l’indipendenza dei popoli sottomessi, iniziata già dagli anni Venti e Trenta. 

Dopo la Seconda guerra mondiale le due superpotenze (USA e URSS) si mostrarono favorevoli all’autodeterminazione dei popoli colonizzati, confidando di poter estendere la propria sfera d’influenza economica e politica a scapito delle potenze europee indebolite dalla guerra.

Verso l’indipendenza

I paesi europei reagirono in maniera differente al crollo dei loro imperi coloniali:

  • la Gran Bretagna generalmente cercò di evitare lo scontro militare, mirando piuttosto a mantenere stretti legami economici con i paesi decolonizzati, tramite il Commonwealth of Nations;
  • gli altri paesi cercarono di impedire il distacco delle colonie ricorrendo spesso alle armi, sia in Asia che in Africa (la Francia in Algeria e in Vietnam, il Belgio in Congo, l’Olanda in Indonesia). 

Le prime colonie inglesi ad avviarsi, pacificamente, verso l’indipendenza furono il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda. Questi Paesi ottennero dapprima lo status di Dominion, poi raggiunsero la vera e propria indipendenza, entrando a far parte del Commonwealth, una comunità di Stati indipendenti, uniti solo dalla “comune fedeltà” alla Corona inglese.

La decolonizzazione in Asia

Nel dopoguerra fu l’Asia, maggiormente coinvolta nelle vicende belliche per il ruolo del Giappone, a dare il via al processo di decolonizzazione, con la conquista dell’indipendenza da parte dell’India e del Pakistan (1947), la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese (1949), e il riconoscimento dell’indipendenza dell’Indonesia (1949). 

Nell’Asia mediterranea la Siria e il Libano conseguirono nel 1946 l’indipendenza. Nello stesso anno cessò il mandato britannico sulla parte della Palestina eretta nel 1923 in regno di Transgiordania. L’altra parte fu divisa nel 1948 fra il nascente Stato di Israele e la Transgiordania (dal 1949 Giordania). Ne derivò la prima guerra arabo-israeliana. 

Nel 1962 fu proclamata la Repubblica Araba dello Yemen, nel nord del paese, che aveva conquistato l’indipendenza dall’Impero ottomano fin dal 1918. La parte meridionale fu invece colonia britannica fino al 30 novembre 1967, quando divenne indipendente, col nome di Repubblica Popolare dello Yemen meridionale, mutato poi in Repubblica Democratica Popolare dello Yemen. Nel 1990 le due repubbliche vennero unite (Repubblica dello Yemen).

Nell’Asia orientale pervennero all’indipendenza nel 1946 le Filippine. L’India cessò di essere britannica nel 1947 con la nascita (15 agosto) dell’Unione Indiana a prevalenza indù, e del Pakistan, a prevalenza musulmana, Ceylon (Srī Lanka) e Birmania (Myanmar) dal 1948. 

L’Indonesia olandese raggiunse l’indipendenza nel 1949, attraverso aspri contrasti e fasi di conflitto armato. Ancora più drammatico il processo della decolonizzazione nell’Indocina francese, dove solo dopo un aspro conflitto contro la Francia si giunse agli accordi di Ginevra (1954) che sancirono l’indipendenza di Cambogia, Laos e Vietnam, quest’ultimo diviso fino al 1975 in due Stati a diverso regime politico. 

Attraverso un graduale processo evolutivo acquistò l’indipendenza nel 1957 la Federazione malese, che dal 1963 con lo Stato di Singapore (poi erettosi in Stato indipendente, 1965) e i territori del Borneo settentrionale Sabah e Sarawak, formò la Malaysia. 

L’ammissione all’ONU nel 1971 del Bhutan segnò la completa indipendenza di questo Stato, le cui relazioni internazionali erano state curate prima dalla Gran Bretagna e poi dall’India. 

Nel 1971, proclamarono l’indipendenza anche il Baḥrain, l’emirato del Qaṭar, la federazione degli Emirati Arabi Uniti, nel 1984 il Brunei. 

Rispettivamente del 1997 e del 1999 è il ritorno alla sovranità cinese di Hong Kong, già colonia britannica, e di Macao, ex colonia portoghese. Timor Est, ex colonia portoghese annessa nel 1975 dall’Indonesia, ha acquistato l’indipendenza nel 2002.

La decolonizzazione in Africa

Nel continente africano la decolonizzazione prese avvio con la decisione dell’Assemblea generale dell’ONU sulla sorte delle ex colonie italiane: 

  • la Libia divenne indipendente nel 1951; 
  • l’Eritrea fu unita nel 1952 all’Etiopia in forma federativa, ma poi privata di qualunque autonomia (avrebbe acquistato l’indipendenza nel 1993). 

Nel 1956 ottennero l’indipendenza il Marocco (protettorato francese e spagnolo), la Tunisia (colonia francese) e il Sudan (colonia inglese). 

Il primo territorio dell’Africa subsahariana in cui giunse a compimento il processo di decolonizzazione fu la colonia britannica della Costa d’Oro, che assunse il nome di Ghana (1957), con cui si fuse il Togo britannico. 

Nell’Africa nera francese la strada verso l’indipendenza fu aperta dalla costituzione della Comunità Francese (1958), cui non aderì la sola Guinea; gli altri territori ebbero lo status di repubbliche autonome, ma poi, nel corso del 1960, ottennero l’indipendenza Senegal, Mali, Madagascar, Dahomey (attuale Benin), Niger, Alto Volta (attuale Burkina Faso), Costa d’Avorio, Ciad, Repubblica Centrafricana, Congo, Gabon, Mauritania. 

Nello stesso 1960 conseguirono l’indipendenza: 

  • la parte di Camerun meridionale amministrato dalla Francia, cui si unì nel 1961 quella amministrata dal Regno Unito; 
  • il Togo (francese); 
  • il Congo belga, attuale Repubblica Democratica del Congo, denominato Zaire dal 1971 al 1997; 
  • la ex Somalia italiana, cui si unì il Somaliland britannico dando vita alla Repubblica Somala; 
  • la Nigeria (cui si unì nel 1961 il lembo settentrionale del Camerun). 

Dei territori britannici nel 1961 pervennero all’indipendenza: 

  • la Sierra Leone;
  • il Tanganica, che nel 1964 si unì a Zanzibar (giunto all’indipendenza nel 1963) dando vita all’odierna Repubblica Unita di Tanzania.

Nel 1962 l’Uganda ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna, mentre dal territorio del Ruanda-Urundi, amministrato dal Belgio, nacquero i due Stati indipendenti del Ruanda e del Burundi. 

L’Algeria conquistò l’indipendenza dalla Francia con una lunga e drammatica lotta, protrattasi dal 1954 al 1962. 

Nel Kenya britannico, dove il malcontento della popolazione africana si espresse nella sanguinosa rivolta dei Mau Mau, giunse all’indipendenza nel 1963. 

Ancor più tormentata l’evoluzione dell’Africa centrale, i cui territori nel 1953 erano stati riuniti in una Federazione, strumento della supremazia della popolazione di origine europea: 

  • nel 1964 si resero indipendenti il Nyasaland (con il nome di Malawi) e la Rhodesia del Nord (con il nome di Zambia); 
  • in Rhodesia del Sud la minoranza bianca proclamò unilateralmente l’indipendenza nel 1965 e solo nel 1980 poté nascere lo Zimbabwe. 

Il processo di decolonizzazione nell’Africa britannica si completò con l’indipendenza di Gambia (1965), Bechuanaland (1966, col nome di Botswana), Basutoland (1966, col nome di Lesotho), Swaziland (1968). Nel 1968 pervennero all’indipendenza anche la colonia britannica di Maurizio e la Guinea Equatoriale.

Nel corso degli anni 1970 si compì la cosiddetta seconda indipendenza dell’Africa, conquistata dai territori già portoghesi con la lotta armata: nel 1974, Guinea Bissau, nel 1975 Mozambico, arcipelago di Capo Verde, São Tomé e Principe, Angola. 

Negli stessi anni ottennero l’indipendenza anche le isole Comore (1975; a eccezione di Mayotte, rimasta legata alla Francia), le Seychelles (1976) e la Repubblica di Gibuti (1977). Nel 1990, raggiunse l’indipendenza, dopo una lunga lotta, anche la Namibia (ex Africa del sud-ovest, colonia tedesca).

La decolonizzazione in America e Oceania

Nell’America Centrale e Meridionale sono giunti all’indipendenza: 

  • nel 1962, Giamaica e isole Trinidad e Tobago; 
  • nel 1966, Guiana (britannica) e Barbados; 
  • nel 1973, Bahama; 
  • nel 1974, Grenada; 
  • nel 1975, Suriname (ex Guiana Olandese); 
  • nel 1978, Dominica; 
  • nel 1979, Saint Lucia, Saint Vincent; 
  • nel 1981, Belize (ex Honduras Britannico), Antigua e Barbuda; 
  • nel 1983, Saint Christopher-Nevis. 

Nell’Oceano Indiano: 

  • nel 1965, sultanato delle Maldive (repubblica dal 1968). 

Nell’Oceania: 

  • nel 1962, Samoa occidentali; 
  • nel 1968, Nauru, ex amministrazione fiduciaria dell’Australia; 
  • nel 1970, Tonga, Figi; 
  • nel 1975, Papua-Nuova Guinea; 
  • nel 1978, isole Salomone, già britanniche, isole Tuvalu, staccatesi (1975) dalle Gilbert, indipendenti dal 1979 con il nome di Kiribati; 
  • nel 1980, Nuove Ebridi, con il nome di Vanuatu.

Il caso Algeria

L’Algeria, colonia francese dal 1800, durante la Prima guerra mondiale diede un notevole contributo allo sforzo militare della Francia, e nel corso del secondo conflitto mondiale, dopo l’invasione del territorio della madrepatria da parte delle truppe tedesche, Algeri venne scelta da Charles de Gaulle come sede del Comitato francese di liberazione nazionale (giugno 1943), poi trasformatosi in Governo provvisorio della repubblica francese (giugno 1944). 

Dal novembre 1942, dopo lo sbarco degli alleati sul suo territorio, l’Algeria divenne una base fondamentale per le truppe angloamericane. Già nel periodo compreso tra le due guerre, tuttavia, diversi settori dell’élite politica algerina iniziarono a rivendicare l’indipendenza del paese, avviando così un processo di decolonizzazione che doveva saldarsi drammaticamente agli sviluppi della politica francese nel secondo dopoguerra. 

Il Partito comunista algerino (PCA), fondato nel 1935, e il Partito popolare algerino (PPA), costituito nel 1937, furono le formazioni più attivamente impegnate in questo senso. L’Unione popolare algerina, fondata nel 1938 da Ferhat Abbas, si proponeva invece di ottenere una piena assimilazione del paese attraverso la concessione ai musulmani algerini della cittadinanza francese, come fu richiesto nel Manifesto del popolo algerino del febbraio 1943. 

Nel frattempo, a causa dell’opposizione dei coloni, fallì il progetto di Leon Blum di concedere diritti politici all’élite indigena. Nel secondo dopoguerra, nonostante alcune parziali concessioni del governo francese, le istanze nazionaliste furono riprese dal Movimento per il trionfo delle libertà democratiche (MTLD) di Ahmad Messali Hadj e soprattutto dal Comitato rivoluzionario d’unità e d’azione (CRUA), clandestino, con sede al Cairo. 

Fu proprio quest’ultimo a scatenare, il 1° novembre 1954, la sollevazione che ben presto dall’Aurès si propagò nella regione di Costantina e nella Cabilia, diretta da un Fronte di liberazione nazionale (FLN) costituitosi al Cairo cui parteciparono tutti i partiti politici a eccezione del Movimento nazionale algerino di Ahmad Messali Hadj. La risposta francese oscillò tra la repressione violenta dei focolai di rivolta e il tentativo di rilanciare la politica dell’integrazione, che aveva già peraltro dimostrato tutti i suoi limiti. 

La creazione di un Comitato di salute pubblica ad Algeri il 13 maggio 1958 da parte dei militari e dei coloni oltranzisti segnò il culmine della tensione e fece precipitare la crisi delle istituzioni francesi, incapaci di affrontare in modo realistico il problema dell’Algeria. 

Toccò a Charles de Gaulle (al potere dal giugno 1958) risolvere quello che si era rivelato sempre più chiaramente come il nodo fondamentale della politica francese del dopoguerra. Dopo una fase iniziale volutamente ambigua, il generale aprì trattative dirette con il FLN e con il Governo provvisorio algerino, che procedettero nonostante il tentativo di colpo di stato attuato, nell’aprile 1961, da esponenti dell’esercito e le azioni terroristiche dell’Organizzazione armata segreta (OAS), sostenuta dalla destra oltranzista francese. 

L’esito del referendum del 1° luglio 1962, previsto nel quadro degli accordi di Évian (17 giugno 1962), segnò la nascita di uno stato arabo algerino indipendente, che accettava comunque di avere in futuro rapporti di cooperazione economico-militare con la Francia.

http://dizionaripiu.zanichelli.it/storiadigitale/p/percorso/190/storia-dellalgeria 

Decolonizzazione e neocolonialismo

La decolonizzazione diede luogo alla nascita di Stati formalmente indipendenti e sovrani, ma ancora condizionati dal passato coloniale. Essi ereditarono i confini delle antiche colonie, che spesso non tenevano conto degli elementi geografici, sia fisici sia umani. Sono così risultati politicamente divisi territori unitari per motivi naturali o etnici, determinando coabitazioni forzate di gruppi umani diversi e rivali o un frazionamento di gruppi legati da storia e cultura comune e da economie complementari. Inoltre, al dominio coloniale si è spesso sostituito un dominio di carattere economico (neocolonialismo) da parte dei grandi paesi industrializzati, in primis gli Stati Uniti.

 

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