La Guerra dei Trent’anni

La guerra dei trent'anni

La Guerra dei Trent’anni

La cosiddetta “guerra dei Trent’anni” fu un complesso di guerre che sconvolsero l’Europa centro-settentrionale, e in particolare la Germania, dal 1618 al 1648, con notevoli ripercussioni sull’assetto politico ed economico europeo. Essa portò massacri, saccheggi, violenze di ogni genere sui civili, scatenò epidemie e distruzioni. La guerra ebbe origine nei territori del Sacro Romano Impero e che vide l’intervento, in fasi successive, delle maggiori potenze europee del tempo. Fu per certi aspetti l’ultimo grande conflitto antico e per altri il primo moderno: iniziò apparentemente per motivi dinastico-religiosi e territoriali, ma divenne un conflitto generalizzato di potenze. La pace di Westfalia, che pose termine alla guerra nel 1648, segnò l’inizio di una nuova era negli equilibri tra gli Stati europei e negli stessi princìpi su cui si sarebbero da quel momento basati i rapporti tra le potenze del continente.

I precedenti

La Pace di Augusta del 1555 aveva stabilito il principio in base al quale le due confessioni religiose, cattolica e luterana, avrebbero potuto convivere nell’Impero. Non si affermava la libertà di coscienza, ma il principio riassunto dalla formula latina del cuius regio, eius religio (in latino: “di chi [è] la regione, di lui [sia] la religione”). In altri termini, la religione professata dal principe sarebbe stata quella imposta ai suoi sudditi. Per i dissenzienti era prevista la possibilità di usufruire del beneficium emigrandi (la possibilità di emigrare in un altro territorio). La pace di Augusta non teneva conto dell’esistenza di altre confessioni religiose oltre alla cattolica e alla luterana.

La Francia

Agli inizi del Seicento la Francia era appena uscita da una sanguinosa guerra civile, scatenata anch’essa da motivazioni religiose. Il conflitto si era concluso con la definitiva presa del potere da parte di Enrico IV di Borbone, ufficialmente sovrano dal 1589 ma consacrato solo nel 1594 con l’abiura e la presa di Parigi. L’ugonotto Enrico, già re di Navarra, uscito vincitore dalla “guerra dei tre Enrichi” (1585-1589), si convertì al cattolicesimo pur di diventare re di tutta la Francia, ed emanò l’editto di Nantes (1598) atto conclusivo di quasi quattro decenni di guerra civile. A Enrico IV succedette Luigi XIII, che all’epoca aveva solo nove anni. Durante la reggenza della madre, Maria de’ Medici, la situazione politica interna peggiorò. La reggente si circondò di favoriti corrotti e incapaci e l’aristocrazia di sangue tentò di rialzare la testa. Luigi uscì dalla minore età nel 1617 e nel Consiglio di Stato fece ingresso il cardinale di Richelieu, che divenne presto il vero arbitro dei destini della monarchia francese.

La Spagna

La monarchia spagnola si trovava in una fase di declino politico, economico e finanziario, cui contribuì anche la rivolta dei Paesi Bassi, provocata dalla politica di intransigenza cattolica di Filippo II d’Asburgo. La rivolta delle Fiandre, che diede origine alla cosiddetta “guerra degli ottant’anni” (1568-1648), fu un colpo molto duro per le finanze della Monarchia spagnola, cui non giungevano più con la stessa intensità di un tempo i metalli preziosi americani. Filippo II volle mantenere con la forza militare le Fiandre ma il costo della guerra si rivelò presto insostenibile. Il suo successore, Filippo III d’Asburgo (1598-1621), fu artefice di una politica di compromesso che portò a una serie di trattati di pace: la Pace di Vervins del 1598 con la Francia, il Trattato di Londra del 1604 con l’Inghilterra, la Tregua dei Dodici Anni del 1609 con le Province Unite. All’inizio della Guerra dei Trent’anni Filippo III intervenne a fianco dell’Impero. 

Le Province Unite

La Repubblica delle Sette Province Unite, nacque nel 1581 in seguito della separazione delle province fiamminghe meridionali cattoliche rimaste fedeli alla Monarchia spagnola. Si trattava di una piccola realtà politica, se raffrontata con le principali monarchie europee, ma essa mostrò una straordinaria vitalità e assunse un ruolo di primo piano dal punto di vista economico, commerciale, militare, coloniale e culturale. Potenza egemone nei commerci marittimi, in grado di competere vittoriosamente con la concorrente Inghilterra, la Repubblica d’Olanda costruì un vasto impero coloniale e seppe diventare la principale piazza commerciale e finanziaria del continente.

Danimarca e Svezia

Nel settore settentrionale del continente europeo due regni avrebbero giocato un ruolo di assoluto rilievo nelle vicende della Guerra dei Trent’anni: la Danimarca e la Svezia. Nel 1592 Sigismondo Vasa, già eletto re di Polonia, nel 1587 ereditò anche la corona di Svezia. Lo zio di Sigismondo, Carlo, si oppose alla realizzazione di ciò che avrebbe comportato la formazione di una vastissima e potente aggregazione di territori nell’Europa settentrionale, senza contare i conseguenti rischi di una restaurazione cattolica in Svezia. Appoggiato dall’aristocrazia e al termine di una guerra civile, Carlo fece deporre Sigismondo dalla Dieta svedese e assunse formalmente la corona con il nome di Carlo IX. Il nuovo sovrano manifestò da subito mire espansionistiche sia ai danni della Polonia sia ai danni della Danimarca di Cristiano IV (re dal 1588 al 1648). Il figlio e successore di Carlo IX, Gustavo Adolfo, continuò la politica del padre e nel giro di due decenni riuscì a imporre la supremazia svedese su tutto il Baltico. 

Gli Asburgo e l’Impero

Sin dal XV secolo gli Asburgo d’Austria avevano inaugurato una politica di guerre di conquista e soprattutto, di alleanze matrimoniali che li avevano portati ad ampliare la loro influenza sull’Impero. Il potere dell’imperatore, tuttavia, era effettivo solo nei territori dove egli era sovrano, ossia nei possedimenti ereditari degli Asburgo (Austria, Ungheria, Boemia, le Fiandre fino all’abdicazione di Carlo V). Gli Asburgo tentarono di imporre l’effettivo controllo sui territori dell’Impero, mentre i principi tedeschi intendevano conservare la loro autonomia. Dopo l’abdicazione dell’imperatore Carlo V nel 1556, la dinastia degli Asburgo si divise nei due rami degli Asburgo di Spagna e degli Asburgo d’Austria. Il titolo imperiale passò a suo fratello Ferdinando I, nel 1558. A Ferdinando I succedettero Massimiliano II e Rodolfo II. A Rodolfo II succedette Mattia, che dopo la nomina a imperatore tentò di togliere i privilegi che un decennio prima Rodolfo II aveva concesso ai nobili boemi. La conseguenza fu lo scoppio della Guerra dei trent’anni, in seguito alla defenestrazione di Praga.

Verso la guerra

Rodolfo II (1576–1612), pur avendo introdotto la riforma tridentina nei domini asburgici su pressione dei gesuiti, non fece nulla per metterla in pratica, anzi nel 1609 accordò, con la cosiddetta “Lettera di Maestà“, la libertà religiosa ai protestanti boemi di tradizione hussita. Le tensioni fra principi protestanti e cattolici portarono al formarsi di due “leghe”: una “Lega Evangelica” nel 1608, che riuniva i principi protestanti, guidata dall’elettore del Palatinato Federico V e una “Lega Santa” nel 1609, cattolica, guidata dal duca di Baviera Massimiliano I.

La politica di relativa tolleranza messa in atto dall’imperatore Rodolfo II mutò e si irrigidì con l’elezione al trono imperiale di Mattia d’Asburgo e le tensioni si accentuarono. Nel 1617 l’imperatore Mattia, che aveva sposato la cugina Anna ma era privo di eredi, abdicò al trono di Boemia, territorio prevalentemente protestante (soprattutto ussita), a favore del cugino Ferdinando di Stiria, principe cattolico intransigente, che avrebbe ereditato due anni dopo anche il titolo di imperatore come Ferdinando II d’Asburgo. Il cattolicesimo intollerante di quest’ultimo causò però fin dall’inizio moltissime tensioni nei territori imperiali non cattolici, in particolare in Boemia. Egli non rispettava le libertà religiose garantite dai suoi predecessori e in particolare dalla Lettera di maestà di Rodolfo II. La politica di intolleranza di Federico diede vita a forti proteste. Ferdinando, con l’approvazione dell’imperatore, dispose la distruzione di alcuni edifici di culto delle confessioni protestanti, costruiti su terreni appartenenti alla Chiesa cattolica.

Il 23 maggio del 1618 il conte di Thurn, a capo di una delegazione di aristocratici protestanti boemi, entrò con la forza nel castello di Praga per ottenere la revoca dell’ordine. Due luogotenenti imperiali (Jaroslav Martinitz e Wilhelm Slavata) e il loro segretario, che erano lì presenti per dirimere la questione, furono gettati da una finestra del castello di Hradčany a Praga. Nonostante l’altezza di 15 metri essi si salvarono, riportando solo contusioni in quanto atterrarono sul letame presente nel fossato del castello. La cosiddetta “defenestrazione di Praga” accese la miccia della rivolta boema.

La fase boemo-palatina (1618-1625)

Gli insorti praghesi istituirono un governo provvisorio e cercarono di reclutare un esercito. Poi chiesero l’aiuto internazionale in vista dell’inevitabile guerra contro le truppe degli Asburgo ma le potenze europee si mantennero caute e per il momento sostanzialmente neutrali.

Alla defenestrazione di Praga seguì la rivolta degli abitanti della Boemia, che si estese ai possedimenti asburgici circostanti. 

Nel 1619 l’imperatore Mattia morì e il governo boemo non riconobbe come suo successore e come proprio re Ferdinando II. La corona di Boemia fu offerta a Federico V, calvinista, nella speranza che intorno a lui potesse aggregarsi una coalizione di principi protestanti.

In precedenza quattro elettori erano cattolici (Boemia asburgica, arcivescovadi elettorali di Treviri, Colonia e Magonza) e tre erano protestanti (Brandeburgo, Sassonia e Palatinato). La nomina di Federico V a re di Boemia e la continuità della sua dinastia nel Palatinato sconvolsero gli equilibri elettorali dell’Impero, portando a quattro elettori protestanti contro tre cattolici.

In agosto del 1619, intanto, Ferdinando II divenne ufficialmente imperatore. Questi non aveva un esercito sufficiente a riprendere la Boemia, così nell’ottobre ottenne dal duca Massimiliano di Baviera venticinquemila soldati, agli ordini del generale vallone Johann Tserclaes de Tilly. L’imperatore aveva l’appoggio dei prìncipi cattolici e luterani dell’Impero. Nel 1620 Tilly attaccò la Boemia, mentre l’elettore luterano di Sassonia attaccava la Slesia. Inoltre, il generale genovese Ambrogio Spinola guidò le truppe spagnole a occupare la parte del Palatinato posta sulla riva sinistra del Reno. Infine, l’8 novembre 1620 le truppe di Tilly sconfissero l’esercito boemo nella battaglia della Montagna Bianca. Il 9 novembre gli imperiali entrarono a Praga, da cui Federico V fuggì, rifugiandosi nelle Province Unite.

La Boemia fu inglobata nei possedimenti asburgici. A Praga gli imperiali decapitarono una trentina di capi della ribellione e i beni dei sostenitori della rivolta furono confiscati. La metà circa dei domini signorili passò dai protestanti ai cattolici.

Fu abolita la “Lettera di Maestà”, che assicurava libertà religiosa ai boemi, e molti protestanti furono costretti a emigrare. Fu immesso in Boemia clero cattolico appartenente agli ordini religiosi e i Gesuiti fondarono scuole destinate ai figli delle classi dominanti. Nel 1627 una nuova costituzione boema rinforzò i poteri del re e rese ereditario il titolo.

Nel gennaio 1621 Ferdinando II mise al bando dell’Impero Federico V e confiscò i suoi beni. I prìncipi protestanti sciolsero l’Unione evangelica e si sottomisero all’imperatore. Il Palatinato, appartenuto a Federico V, fu diviso. La parte a sinistra del Reno rimase alla Spagna, costituendo una via importante verso l’Olanda, dove nel 1621 riprese la guerra contro le Province Unite. Nel 1623 Ferdinando affidò la parte del Palatinato a destra del Reno al capo della Lega cattolica, Massimiliano I di Baviera, riconoscendogli titolo di principe elettore. Sembrò così realizzarsi il progetto assolutista degli Asburgo e questo suscitò l’inquietudine dei prìncipi tedeschi. 

Nel 1621, alla scadenza della tregua dei dodici anni con l’Olanda, si riaprì il fronte di guerra tra la Spagna e le Province Unite. Dai confini tedeschi di queste ultime, armate protestanti fecero alcune conquiste in Germania, tra il 1622 e il 1623. Tuttavia il generale Tilly ebbe ragione dei nemici, costringendoli a rientrare nelle Province Unite.

Intanto in Francia il cardinal di Richelieu divenne nel 1624 il principale ministro di Luigi XIII, orientando la politica estera francese in senso antiasburgico. Nell’immediato fu però impegnato a reprimere le rivolte ugonotte in Francia e lo Stato francese non aveva ancora i mezzi finanziari per un intervento militare diretto.

La fase danese (1625-1629)

Sul fronte olandese, nel 1625 gli Spagnoli conquistarono la città di Dresda. Fu questo uno dei motivi che indussero il re di Danimarca Cristiano IV a entrare in guerra, nel timore che una vittoria spagnola sulle Province Unite avesse dei contraccolpi nella Germania settentrionale. La Danimarca controllava il commercio tra il mare del Nord e il Baltico attraverso la stretto del Sund, e mirava a costituire una sua zona d’influenza nel Nord tedesco, gestendo lo sbocco al mare dei traffici della regione. Il sovrano danese, che era anche duca di Holstein (un ducato appartenente al Sacro Romano Impero), aveva come obiettivo prioritario la conquista della zona delle foci dell’Elba e del Weser.

La Danimarca fu sostenuta dalla Francia che, sotto la guida del cardinale Richelieu, cominciò a contrastare la politica espansionista asburgica, temendo un nuovo accerchiamento come ai tempi di Carlo V. Anche, l’Inghilterra e l’Olanda appoggiarono la Danimarca, mentre la Svezia rimase neutrale.

Cristiano IV entrò in territorio tedesco nella primavera del 1625 con un esercito di oltre 25.000 uomini. Secondo i piani, l’armata danese avrebbe dovuto unirsi con altre due provenienti dall’Olanda. L’esercito imperiale comandato dal generale Tilly, tuttavia, si rafforzò notevolmente in seguito all’intervento del generale Albrecht von Wallenstein, nobile boemo convertito al cattolicesimo, che mise al servizio dell’Impero oltre 20.000 mercenari, in cambio del bottino saccheggiato nei territori conquistati.

La campagna militare danese fu fallimentare. Tilly sconfisse Cristiano IV nella Battaglia di Lutter, in Turingia (1626), mentre Wallenstein sconfisse ripetutamente un’armata alleata con i Danesi.

Nel 1627 gli imperiali conquistarono il Mecleburgo e la Pomerania, poi l’Holstein (di cui era principe il re danese) e lo Jutland, cioè gran parte della Danimarca. 

Cristiano IV si ritirò nella parte insulare del suo regno, poi fu costretto a firmare la pace di Lubecca (1629), con cui s’impegnava, se voleva salvare la propria corona, a non intromettersi più nelle vicende tedesche.

L’editto di restituzione

L’occupazione del Nord della Germania consentì a Ferdinando II di disporre in quelle regioni, parallelamente alla riaffermazione del potere imperiale, una riorganizzazione confessionale. Nel 1629 egli emanò l’Editto di Restituzione, in forza del quale dovevano essere riconsegnate alla Chiesa cattolica tutte le proprietà confiscate dopo il 1552. L’editto toglieva ai protestanti gli arcivescovati di Magdeburgo e di Brema, dodici vescovati e un gran numero di conventi e di abbazie. Inoltre, molti protestanti furono forzati alla conversione o costretti a espatriare. Il provvedimento suscitò la reazione dei principi luterani rimasti fino ad allora neutrali.

La guerra in Italia

La crisi della Valtellina

Durante la fase danese della guerra dei Trent’anni si verificarono degli scontri minori in Nord Italia tra il 1620 ed il 1630, riguardanti il controllo della Valtellina, la successione al ducato di Mantova e il possesso del Monferrato.

La popolazione cattolica della Valtellina insorse nel 1620 contro i protestanti dietro sollecitazione della Spagna, per la quale la valle rappresentava un importante punto di transito lungo la via spagnola che dalla Liguria conduceva ai Paesi Bassi. Nel 1620 una congiura cattolica, pilotata dalla Milano spagnola, portò a un massacro di protestanti in Valtellina, che era sotto il dominio protestante del cantone dei Grigioni. Dopo la strage, la Spagna occupò la Valtellina con il pretesto di difenderne gli abitanti cattolici contro un’eventuale reazione protestante. Per rispondere all’intervento spagnolo, venne formata una lega tra Francia, Ducato di Savoia e Repubblica di Venezia, che tuttavia non riuscì a ribaltare la situazione. In seguito al trattato franco-spagnolo di Monzòn del 1626 la Valtellina divenne di fatto indipendente, soggetta a un tributo verso i Grigioni e gli Spagnoli controllarono la valle.

La successione di Mantova

Nel 1627 si aprì la questione del controllo del territorio di Mantova e del Monferrato, a seguito dell’estinzione della linea dinastica diretta della famiglia Gonzaga. Infatti, Vincenzo II Gonzaga, duca di Mantova, era morto alla fine del 1627 senza lasciare eredi. L’erede più prossimo era il francese Charles Gonzaga, duca di Nevers, ma il ducato era feudo imperiale e la decisione spettava quindi a Vienna. Inoltre Mantova aveva il dominio del Monferrato, il che catalizzava le attenzioni spagnole (era un punto di passaggio verso il Nord italiano ed europeo), francesi (significava un piede in Italia) e sabaude (era in Piemonte). 

La Spagna appoggiò la candidatura al ducato del ramo dei Gonzaga di Guastalla, filo-spagnolo. Dopo l’insediamento di Nevers, truppe spagnole, provenienti da Milano, invasero il territorio di Mantova e del Monferrato, appoggiati da truppe sabaude. La Francia, impegnata sul fronte interno contro gli ugonotti, al momento non poté intervenire ma, debellata la fazione ugonotta, alla fine del 1628 un esercito francese entrò in Italia, costringendo il duca di Savoia Carlo Emanuele I a scendere a patti e il governatore di Milano a togliere l’assedio di Casale.

La situazione si capovolse alla fine del 1629, quando intervenne un poderoso esercito imperiale, che pose l’assedio a Mantova, costretta a capitolare e sottoposta a un brutale saccheggio. Nel frattempo, una terribile epidemia di peste, probabilmente veicolata dalle truppe tedesche, dilagò in tutto il Nord Italia, colpendo particolarmente la città di Milano, che vide dimezzata la propria popolazione. Successivamente, con la Germania minacciata da un’invasione svedese, si giunse al trattato di Cherasco, che riconosceva la successione alla casa Gonzaga-Nevers e il possesso di Pinerolo alla Francia, mentre una parte del Monferrato fu ceduta ai Savoia.

La fase svedese (1629-1635)

Le potenze protestanti, e dietro a loro la Francia dei Borbone, non potevamo assistere inerti al trionfo degli Asburgo senza tentare di rovesciare le sorti del conflitto. I prìncipi tedeschi protestanti erano insofferenti per l’applicazione dell’editto di Restituzione e per il potere acquisito da Wallenstein. Nell’estate del 1630, sollecitati anche dagli emissari di Richelieu, chiesero all’imperatore la testa del generale. Così, Ferdinando II decise di togliere a Wallenstein il comando delle truppe imperiali e il condottiero tornò in Boemia nelle sue terre. Richelieu voleva contrastare il rafforzamento dell’Impero e della Spagna, in particolare impedendo che i due rami degli Asburgo di unissero. La Francia si propose da un lato di rafforzare le sue frontiere e di aiutare le Province Unite contro la Spagna, dall’altro di impedire una centralizzazione asburgica in area tedesca. Tuttavia la Francia nel 1630 non era ancora porta a un intervento diretto e si limitò ad agire per via diplomatica. I suoi disegni coincisero con quelli del re svedese Gustavo II Adolfo Casa (1611-32), che mirava a fare del Baltico un “lago svedese”. Gustavo Adolfo, luterano e anticattolico, aveva uno dei migliori eserciti europei, con armi, tattiche e servizi moderni: un esercito nazionale di contadini, disciplinato e pervaso di rigore religioso. 

Nel 1630 Gustavo Adolfo sbarcò con le proprie truppe in Pomerania, occupò Stettino, poi entrò nel Meclemburgo. L’impresa svedese fu fortemente sovvenzionata dal cardinale Richelieu (con il Trattato di Bärwalde) e dagli Olandesi, permettendo a Gustavo Adolfo ingenti spese belliche durante tutto il corso della guerra. Nel maggio del 1631 le forze cattoliche imperiali attaccarono la città di Magdeburgo, alleata della Svezia, sottoponendola a un feroce saccheggio: 24.000 morti tra uomini, donne e bambini. Questo episodio indusse Pomerania, Brandeburgo e Sassonia ad appoggiare gli Svedesi.

Grazie ai fondamentali aiuti finanziari francesi e all’appoggio dell’elettore del Brandeburgo, Gustavo II Adolfo poté finalmente riportare il primo grande successo delle forze protestanti ai danni di quelle cattoliche nel 1631, nella battaglia di Breitenfeld, nei pressi di Lipsia, in Sassonia. La via per la Germania meridionale era così aperta. 

Mentre i Sassoni entravano in Boemia, l’esercito svedese invase la Baviera. Alla fine dell’estate anche tutta l’Alsazia era in mano degli Svedesi, cosa che però Richelieu non gradiva, perché il dominio svedese in Germania stava diventando troppo esteso. Ferdinando II, in difficoltà, richiamò intanto al suo servizio Wallenstein, che con oltre 60.000 uomini espulse i Sassoni dalla Boemia e affrontò gli Svedesi in marcia verso Nord. Nella battaglia di Lützen (16 novembre 1632), nei pressi di Lipsia, gli Svedesi ebbero il sopravvento ma Gustavo Adolfo cadde sul campo di battaglia. 

Nonostante la perdita del sovrano la Svezia non si diede per vinta, perché considerava vitale mantenere un piede in Pomerania e in Prussia, essenziali per il controllo del Baltico. L’erede Cristina aveva solo sei anni, perciò fondamentale fu l’abilità politica di Axel Oxenstierna, cancelliere del Regno, che rinnovò l’alleanza con la Francia e con i prìncipi protestanti tedeschi.

In campo imperiale, intanto si era aggravata la posizione di Wallenstein, accusato da alcuni di tradimento. Accusa in parte giustificata dalle trattative non autorizzate da lui intavolate con i protestanti, in parte alimentata da gelosie e invidie di palazzo. Ferdinando gli revocò il comando delle truppe e si accinse a ordinare il suo arresto. Mentre cercava di accordarsi con gli Svedesi e di trovare protezione presso di loro, la notte del 25 febbraio 1634 Wallenstein fu ucciso da alcuni ufficiali imperiali.

Anche senza l’abilità militare del Wallenstein, il 6 settembre 1634 l’esercito asburgico sconfisse Bernardo di Sassonia-Weimar e gli Svedesi, nella battaglia di Nordlingen, in Baviera. Gli Svedesi evacuarono la Germania meridionale e la Sassonia avviò trattative con Vienna.

Fu così che si giunse alla Pace di Praga del 1635, tra l’imperatore, la Sassonia e il Brandeburgo. Essa prevedeva le seguenti condizioni:

  • spostamento della data di decorrenza dell’Editto di Restituzione di 40 anni;
  • diritto ai protestanti di trattenere i territori ecclesiastici secolarizzati detenuti nel 1627;
  • amnistia per i nemici dell’imperatore che si fossero uniti agli scontri dopo l’intervento svedese nel 1630;
  • divieto agli Stati tedeschi di formare alleanze tra loro o con potenze straniere;
  • unione di tutti gli eserciti degli Stati imperiali in un’unica armata al servizio dell’imperatore.

La pace, tuttavia, non fu firmata da molti prìncipi protestanti e non soddisfaceva la Svezia e la Francia. Quest’ultima, temendo l’accerchiamento da parte degli Asburgo d’Austria e di Spagna, decise di entrare attivamente nel conflitto.

La fase francese (1635-1648)

La Francia si trovava in quel momento nelle condizioni economiche, finanziarie e militari di sostenere un impegno del genere. Obiettivi dell’intervento erano il rafforzamento dei confini nazionali e la conquista di territori come il Rossiglione, i passi alpini, l’Alsazia, parte delle Fiandre. Nel 1635 i Francesi si impegnarono direttamente nella guerra dei Trent’anni, prima a fianco della Svezia e contro la Spagna, poi sempre più anche contro l’Impero. La guerra perdeva definitivamente la maschera religiosa per mostrare il suo vero volto di conflitto politico-militare tra le massime potenze continentali.

Prima del 1635 la Francia era già intervenuta realizzando limitate conquiste, come quella dell’elettorato imperiale di Treviri e della Lorena, che aveva notevole importanza strategica perché vi passava la via militare spagnola verso i Paesi Bassi. Inoltre, nell’ottobre 1634 le truppe francesi erano subentrate a quelle svedesi in Alsazia.

Nel 1635 la Francia dichiarò guerra alla Spagna, poiché gli Spagnoli avevano sferrato un’offensiva contro l’Elettore di Treviri, sotto protezione francese dal 1632. La prima fase della guerra non andò come sperato da Luigi XIII e dal primo ministro Richelieu. Nel 1636 la Francia subì anzi un’offensiva sul fronte dei Paesi Bassi che fece giungere le truppe imperiali a circa 150 chilometri da Parigi. Tuttavia l’Impero doveva fare i conti con le truppe svedesi e con lo stato di guerra civile al proprio interno, ormai intollerabile per gran parte della popolazione, che aveva dovuto subire violenze e saccheggi. 

Nel febbraio 1637 morì Ferdinando II e gli succedette il figlio Ferdinando III (1637-57). Il nuovo imperatore riunì una Dieta a Ratisbona nel settembre del 1640, tra l’altro sotto la minaccia costante delle truppe svedesi. La Dieta, nonostante le pressioni del nunzio papale, decise di far cadere l’Editto di Restituzione, stabilendo che chi aveva incamerato beni ecclesiastici fino al 1627 poteva definitivamente conservarli. 

Nell’ottobre 1639 la flotta spagnola fu duramente battuta da quella olandese al largo di Dover (battaglia delle Dune). La caduta in mani francesi della piazzaforte asburgica di Arras (9 agosto 1640) volse gli eventi a favore di Luigi XIII e a scapito della Spagna e le truppe francesi occuparono le Fiandre. Intanto, venti di ribellione iniziavano a soffiare in maggio in Catalogna e in dicembre in Portogallo. Il governo del conte-duca de Olivares, con la sua politica di inasprimento fiscale, aveva provocato forte malcontento. Il cardinale Richelieu approfittò della crisi interna spagnola, fornendo aiuto ai Catalani e ai Portoghesi. Filippo IV di Spagna fu costretto a ritirare le truppe da altri fronti per impiegarle all’interno.

Intanto in Germania, nel 1641 l’elettore del Brandeburgo giunse a una pace separata con la Svezia. La coalizione imperiale precipitò in una profonda crisi. Nel Mediterraneo e nell’Atlantico le flotte francesi e olandesi vinsero ripetutamente quelle spagnole, mentre le forze francesi e svedesi riguadagnavano l’iniziativa nella Germania meridionale: nella seconda battaglia di Breitenfeld del 2 novembre 1642 il feldmaresciallo svedese Lennart Torstenson sconfisse duramente l’esercito imperiale guidato da Leopoldo Guglielmo d’Austria e dal principe generale Ottavio Piccolomini.

La morte del cardinale Richelieu il 4 dicembre 1642 non mutò gli equilibri bellici. Il suo successore, cardinale Giulio Mazzarino, continuò la sua opera: aiuti economici e militari continuarono a fluire verso gli insorti catalani e i ribelli lusitani. A fronte di una situazione così critica, Olivares cercò invano la pace con la Francia e con le Province Unite: questo nuovo insuccesso, sommato alla disfatta subita dagli Spagnoli a Rocroi il 19 maggio 1643 da parte del generale francese Luigi II di Borbone-Condé, segnò la fine della carriera duca di Olivares. Il 14 maggio 1643, intanto, moriva Luigi XIII, lasciando al governo il cardinale Mazzarino e Anna d’Austria, reggenti in nome di Luigi XIV, di soli cinque anni.

Tra il 1643 e il 1645 si svolse un conflitto tra Svezia e Danimarca, ora alleata con l’Impero. Cristiano IV di Danimarca fu costretto alla pace dell’agosto 1645, che metteva fine alle ambizioni danesi nel Baltico, a vantaggio dell’egemonia svedese.

La guerra continuò con esiti alterni, mentre nel frattempo, nel 1644, erano iniziate trattative di pace, poiché appariva impossibile per le forze in campo ottenere una vittoria decisiva sullo schieramento avversario, anche se le sorti dell’Impero e della Spagna volgevano al peggio. Nel 1646 un’offensiva franco-svedese contro la Baviera spinse il duca Massimiliano a firmare un trattato che metteva fine alle ostilità. Nello stesso anno, considerati i progressi francesi nelle Fiandre, gli Olandesi sciolsero di fatto l’alleanza con la Francia, che ormai si rivelava un alleato scomodo e pericoloso, e avanzarono offerte di pace alla Spagna, che finì per riconoscere l’indipendenza politica dell’Olanda (poi ratificata anche dall’impero con la pace di Vestfalia).

Infine, mentre gli Svedesi assediavano Praga, giunse la notizia che il 24 ottobre 1648 la guerra era finita, con la firma della Pace di Vestfalia. Nel corso della guerra gli stati tedeschi avevano perso una fetta consistente della popolazione (si stima tra il 20% e il 30%), mentre i sopravvissuti avevano conosciuto la miseria, le deportazioni, lo svuotamento di villaggi, le epidemie, le brutalità degli delle soldatesche. 

La pace di Westfalia

La guerra dei Trent’anni giunse a conclusione con i lunghi negoziati di Vestfalia, nel Nord-Ovest della Germania. Le trattative si svolsero nelle città di Münster per i cattolici (Francia, Impero, Provincie Unite, Spagna e prìncipi cattolici) e di Osnabrück per i protestanti (Svezia, prìncipi protestanti e Impero). Il 30 gennaio 1648 a Münster la Spagna e le Province Unite siglarono una pace separata, inutilmente ostacolata dal Cardinal Mazzarino, con cui gli Spagnoli riconoscevano l’indipendenza delle Province Unite. Il 24 ottobre 1648 si arrivò ad una serie di trattati firmati nelle due città, rispettivamente tra Olanda e Spagna, Francia e Impero, Svezia e Impero, noti nel loro insieme come Pace di Vestfalia. Alle trattative non presero parte l’Inghilterra, la Russia e la Turchia.

La Pace di Vestfalia confermò e sancì il riconoscimento dell’indipendenza delle Province Unite dalla Spagna. Inoltre, alla Francia fu riconosciuto il possesso dei vescovati lorenesi di Metz, Toul e Verdun, di gran parte dell’Alsazia, di altre piazzeforti sul Reno e in Piemonte. La Spagna non firmò la Pace di Vestfalia e proseguì la guerra contro la Francia. Tuttavia, Il conflitto tra Francia e Spagna proseguì ma la Spagna, che non aveva firmato la Pace di Vestfalia, con la Pace dei Pirenei del 1659, dovette alla fine cedere ai Francesi il Rossiglione e l’Artois. La Francia si affermò come prima potenza continentale.

Alla Svezia fu riconosciuto il controllo della Pomerania occidentale a Ovest del fiume Oder e le città di Stettino e Wismar, e inoltre l’arcivescovato e ducato di Brema. La Svezia in tal modo si assicurava il predominio sul Baltico e il re svedese diveniva principe dell’Impero, possedendo territori tedeschi in feudo. All’elettore del Brandeburgo-Prussia, Federico Guglielmo di Hoenzollern, furono dati la Pomerania orientale, i vescovati di Magdeburgo, Minden e Halberstadt, ponendo così le basi per la successiva ascesa del regno di Prussia.

A tutti i prìncipi tedeschi che si erano battuti contro l’imperatore fu concessa l’amnistia, esclusi i ribelli boemi del 1618-20. L’imperatore restava alla testa di un Impero frammentato in quasi trecentocinquanta unità territoriali fra elettorati, principati laici, ecclesiastici e città libere. I prìncipi avevano il diritto di concludere trattati tra di loro e con le potenze straniere, a condizione che non fossero diretti contro l’Impero. Essi divenivano così sovrani indipendenti, come di fatto erano da tempo. Gli Asburgo rimanevano pienamente sovrani nei loro domini dinastici (Austria, Ungheria e Boemia) ai quali da questo momento in poi si dedicarono maggiormente, dato che ormai l’Impero non aveva alcuna possibilità di intervenire negli affari degli Stati tedeschi, nemmeno nelle questioni di politica estera.

Dal punto di vista religioso il calvinismo fu riconosciuto come confessione, accanto al cattolicesimo e al luteranesimo, mentre fu spostato al 1624 l’anno a partire dal quale i beni ecclesiastici secolarizzati avrebbero dovuto essere restituiti alla Chiesa di Roma. Doveva inoltre essere tollerato ovunque il passaggio ad altra confessione, a eccezione dell’Alto Palatinato e dei domini ereditari degli Asburgo, dove vigeva la sola fede cattolica. Il papa Innocenzo X non riconobbe le deliberazioni prese a Vestfalia, poiché esso comportava per la Chiesa la perdita di tutti i vescovati della Germania settentrionale e centrale, e di molti conventi e monasteri.

La Pace di Vestfalia chiuse il periodo delle guerre di religione e l’inizio di un processo di secolarizzazione delle relazioni internazionali, basate sugli interessi degli Stati e non su interessi confessionali. Essa segna la nascita del sistema degli Stati europei, basato sul principio dell’equilibrio: bisognava evitare che qualche potenza acquisisse una forza tale da coltivare progetti di egemonia continentale.

La fine del conflitto confermò la marginalità e la frammentazione politica dell’Italia, in parte asservita alla Spagna. I traffici oceanici la tagliarono fuori sempre più dalle principali direttrici dei commerci. Milano e Napoli rimasero spagnole. Venezia restò indipendente ma in declino. Firenze si chiuse nell’ambito regionale e i Savoia centrarono i loro domini in Piemonte ma, schiacciati tra Francia e domini lombardi della Spagna, non ebbero sufficiente forza autonoma per condurre una politica di ampio respiro. Una sorte analoga toccò al Papato.

Fonti

https://library.weschool.com/lezione/defenestrazione-praga-pace-di-vestfalia-cuius-regio-eius-religio-guerra-dei-30-anni-riassunto-16922.html 

https://www.homolaicus.com/storia/moderna/monarchie_nazionali/guerra_trentanni.htm 

https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_dei_trent%27anni 

R. Romano, L’Europa tra due crisi. XIV e XVII secolo – Einaudi, 1980

Josef V. Polisensky, La Guerra dei Trent’Anni: da un conflitto locale a una guerra europea nella prima metà del Seicento. Einaudi, 1982.

Georges Pages, La Guerra dei Trent’Anni. ECIG, 1993

Geoffrey Parker, La Guerra dei trent’anni. Vita e Pensiero, 1994

C. V. Wedgwood, La Guerra dei Trent’Anni. Mondadori, 1998.

Georg Schmidt, La guerra dei Trent’anni. Il Mulino, 2008

Schiller Friedrich, Storia della guerra dei trent’anni, A&P (Milano) 2010

Carlo Avalli, La questione storica dell’unità italiana, Ed. Lotta comunista, 2018

La Guerra dei Trent'anni

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