La Russia all’inizio del ‘900.

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La Russia all’inizio del ‘900.

La rivoluzione russa

La Russia all’inizio del ‘900.

All’inizio del Novecento le principali caratteristiche distintive dello sviluppo della Russia erano la sua lentezza e la sua arretratezza. Arretratezza che si manifestava sia sul piano economico-sociale sia su quello politico.

Il settore agricolo

L’economia russa era ancora prevalentemente basata sull’agricoltura e oltre l’80% della popolazione era costituita da contadini che vivevano in condizioni di miseria, spesso ancora soggetti alla servitù della gleba, che in Russia era stata abolita ufficialmente solo nel 1861.

La maggior parte di questa popolazione era costituita da contadini che vivevano nelle comunità rurali in un regime di agricoltura di pura sussistenza.

All’abolizione della servitù della gleba non era seguita una riforma agraria che distribuisse la terra ai contadini. I terreni restavano in gran parte nelle mani della nobiltà e del clero o di grossi imprenditori in grado di accedere ai finanziamenti delle banche.

Particolarità dello sviluppo industriale

L’industria era in generale poco sviluppata soprattutto per la mancanza di capitali, anche se in alcuni settori, grazie ai finanziamenti stranieri (in particolare francesi e tedeschi), si ebbe un certo sviluppo. In sostanza si può affermare che all’inizio del ‘900 il sistema di produzione capitalista si era diffuso in Russia.

Tra il 1880 e i primi del ‘900 vi era stato in Russia un forte sviluppo e la produzione industriale era cresciuta a un ritmo elevato. La produzione di carbone era quintuplicata ed era iniziata l’estrazione di petrolio (a Baku), con l’aiuto di tecnici e ingegneri stranieri. All’inizio del ‘900 la Russia disponeva di una rete ferroviaria di circa 30.000 km. I lavoratori dell’industria erano notevolmente cresciuti e si erano create grosse concentrazioni industriali (la fabbrica Poutilov, a San Pietroburgo, impiegava più di 15.000 lavoratori).

Il bacino industriale che va dalla Polonia (allora Russia) ai dintorni di San Pietroburgo fu quello in cui si svilupparono forme di capitalismo moderne, grazie ai finanziamenti stranieri o della Banca di Stato, con elevate concentrazioni della classe operaia.

Tuttavia, tale sviluppo fu “a macchia di leopardo”, con forti differenze regionali. L’industrializzazione della Russia era stata avviata e si erano sviluppati alcuni grossi agglomerati urbano-industriali. Questo però avveniva in un quadro di forte arretratezza e di gravi squilibri tra le diverse aree del paese.

Capitalismo di Stato

La politica economica condotta dai ministri delle finanze fu caratterizzata da un forte protezionismo e da un forte intervento dello Stato nelle attività economiche, sia tramite l’azione delle imprese pubbliche, sia indirettamente mediante le politiche fiscali e monetarie.

Il sistema bancario non era in grado di far fronte alle esigenze dello sviluppo industriale. Questa fu una delle ragioni del ruolo importante svolto dallo Stato nello sviluppo economico russo. Poiché lo sviluppo del capitalismo in Russia fu strettamente diretto dallo Stato e da esso dipendente, la sua autonomia dalla sfera politica fu molto limitata.

Debolezza della borghesia

Questi tratti peculiari produssero una borghesia debole e incapace di affermarsi come classe dirigente, una parte della quale era succube dell’aristocrazia e della burocrazia zarista. Di conseguenza essa non fu in grado di realizzare la creazione di uno Stato moderno, di riforme e di istituzioni democratiche.

Immobilismo istituzionale

Sul piano politico la Russia era infatti ancora una monarchia assoluta e autocratica, in cui il potere era concentrato nelle mani dello Zar.

Il regime autocratico zarista conservava immutate le proprie caratteristiche oppressive e qualsiasi riforma, per quanto modesta, innescava fortissime resistenze e viceversa forme di protesta radicale contro il potere che assumevano tratti rivoluzionari.

I partiti di opposizione.

Nonostante le dure repressioni messe in atto dal regime assoluto, si erano formati partiti politici di opposizione, che però generalmente erano costretti alla clandestinità. I principali partiti erano:

  • il Partito costituzionale democratico (Partito cadetto), di orientamento liberale, che voleva trasformare la Russia in una monarchia costituzionale;
  • il Partito socialista rivoluzionario, che rappresentava in particolare il mondo contadino e che proponeva la costruzione di una società egualitaria, a partire dalla distribuzione delle terre ai contadini, evitando lo sviluppo dell’industrializzazione capitalistica;
  • il Partito socialdemocratico, di orientamento marxista, che facendo leva sulla classe operaia, che si stava sviluppando in seguito allo sviluppo industriale, si proponeva come obiettivo una rivoluzione socialista.

Bolscevichi e menscevichi

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Lenin (Vladimir Il’ič Ul’janov)

Quest’ultimo partito si divise nel 1903 in due correnti, bolscevichi (maggioranza) e menscevichi (minoranza).

I bolscevichi, pur ammettendo l’arretratezza della Russia, pensavano che solo la presa del potere da parte della classe operaia avrebbe potuto realizzare una rivoluzione conseguente, perché la borghesia russa si mostrava troppo debole e incapace di un radicale rinnovamento. I bolscevichi pensavano, inoltre, che la rivoluzione in Russia, anello debole tra gli stati europei, avrebbe potuto innescare la rivoluzione nei paesi della più sviluppata Europa. Per i bolscevichi il partito doveva essere costituito di “rivoluzionari di professione”, avanguardia lucida e consapevole della classe operaia, che altrimenti sarebbe stata incapace di uno sbocco rivoluzionario in modo spontaneo.

I menscevichi ritenevano la Russia immatura economicamente e culturalmente per una trasformazione socialista, per cui ritenevano che nell’immediato fosse necessario puntare su una rivoluzione democratico-borghese, rinviando l’obiettivo del socialismo a una fase successiva. Essi, inoltre ritenevano che si dovesse costruire un partito “di massa”, che mirasse a raccogliere consensi in vista della partecipazione alle elezioni.

 

 

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