Le cause della guerra d’Indipendenza americana

Rivoluzione americana

Le cause della guerra d’Indipendenza americana

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Malcontento delle colonie

La sconfitta della Francia da parte dell’Inghilterra nella guerra dei Sette anni (1756-63) mise fine alla dominazione francese sui territori canadesi ed ebbe l’effetto di liberare le colonie dalla minaccia francese. I coloni non avevano più quella necessità di protezione che era stato uno dei principali motivi di attaccamento alla madrepatria, perciò essi considerarono ingiustificati i privilegi che l’Inghilterra si era riservata. I coloni inglesi sentirono sempre più acuta l’esigenza di rinegoziare i loro rapporti con la madrepatria, affermando i loro diritti, compreso quello di essere rappresentati nel Parlamento di Londra. Viceversa Londra ritenne invece di avere la forza e l’autorità per ribadire il rapporto di dipendenza coloniale.

La conclusione della guerra aveva deluso le colonie americane, soprattutto le classi mercantili più ricche, che contavano su un ampliamento delle loro attività economiche dopo l’acquisizione dei territori francesi. Infatti, un apposito proclama reale preparato da Lord Shelburne vietò la colonizzazione americana nei territori a Ovest dei Monti Allegheny (1763). Questa decisione era almeno in parte motivata dalla volontà di evitare uno scontro con le popolazioni native, ma aveva provocato la protesta di alcune potenti società commerciali come la “Compagnia delle terre del Mississippi” costituita da ricchi piantatori tra cui George Washington.

No taxation without representation

La guerra era stata molto costosa per la Gran Bretagna, che ritenne necessario imporre anche alle 13 colonie di contribuire finanziariamente a risanare il debito pubblico. Fra il 1763 e il 1765 il governo inglese inasprì il carico fiscale e impose il mantenimento di un esercito stanziale di 10 mila uomini. Nel 1764 furono imposte alle colonie nuove tasse su zucchero, caffè, vino. Nel 1765 il governo inglese estese alle colonie un tributo su tutti i documenti commerciali, le pubblicazioni, gli atti legali, i giornali, che veniva pagato mediante l’apposizione di un bollo (“Stamp Act”). I coloni rifiutarono di obbedire a una legge approvata senza il loro consenso e senza che vi fosse una loro rappresentanza nel Parlamento inglese, rifacendosi al principio No taxation without representation (nessuna tassazione senza rappresentanza). Vi furono movimenti di piazza e fu organizzato il boicottaggio delle merci inglesi. Di fronte alla protesta dei coloni, la legge sul bollo fu abrogata ma fu sostituita con una serie di imposte indirette su alcune merci (carta, vernici, piombo, tè), che le colonie importavano dall’Inghilterra.

Il Boston Tea Party

Nel 1773 la Compagnia britannica delle Indie orientali ottenne dal Parlamento il diritto di vendere in esclusiva, mediante i suoi stessi agenti, il tè che essa importava dalla Cina, facendo a meno degli intermediari americani che avevano fino ad allora goduto di un fruttuoso giro di affari.

I commercianti americani di tè, sostenuti dall’opinione pubblica e dalle organizzazioni popolari dei Figli della libertà (Sons of Liberty), organizzarono il boicottaggio delle merci inglesi, che culminò con il clamoroso Boston Tea Party. Il 16 dicembre 1773 alcuni Figli della libertà, travestiti da Indiani, assalirono le navi della Compagnia delle Indie alla fonda nel porto di Boston e gettarono in mare il carico di tè. Re Giorgio III e il governo di Londra reagirono con durezza.

Le leggi intollerabili

Nell’aprile 1774 furono approvate quattro leggi repressive (Coercitive Acts) che, tra l’altro, concentravano il potere nelle mani delle autorità inglesi, annullando le libertà locali. Esse divennero famose in America come le Leggi intollerabili (Intolerable Acts).

Nel giugno 1774 la promulgazione della Legge sul Quebec accrebbe ulteriormente il malcontento dei coloni. Essa assicurava ai sudditi del Canada, di nazionalità francese, di religione cattolica e di recente acquisizione, la più ampia libertà religiosa e civile, e assegnava al Canada tutti i territori a nord del fiume Ohio, nei quali i sudditi delle tredici vecchie colonie aspiravano ad espandersi.

Il primo Congresso continentale

Il 5 settembre 1774, si riunì a Filadelfia il cosiddetto primo Congresso continentale, formato da 55 delegati delle colonie americane. Dodici colonie inviarono loro rappresentanti, mentre la Georgia, la Nuova Scozia, le due Floride e il Québec non mandarono rappresentanti. Le opinioni tra i delegati non erano concordi. Erano presenti alcuni conservatori lealisti, guidati da Joseph Galloway della Pennsylvania. Le loro posizioni furono respinte. Prevalsero le posizioni dei radicali capeggiati dai delegati della Virginia, George Washington, Patrick Henry e Richard Henry Lee, e del Massachusetts, Samuel Adams e John Adams. Il Congresso continentale, che proclamò nulle le “leggi intollerabili”, organizzò il boicottaggio economico contro l’Inghilterra e diede vita a una Associazione continentale per la politica economica. Le assemblee coloniali incominciarono a costituirsi come poteri indipendenti.

Fallimento dei tentativi di mediazione

I tentativi di mediazione non ottennero esito positivo. Durante una serie di colloqui segreti in corso a Londra tra alcuni emissari del governo North e Benjamin Franklin, il rappresentante americano confermò le richieste del Congresso continentale: l’abrogazione di tutte le norme legislative degli ultimi anni, il ritiro delle truppe da Boston e soprattutto la rinuncia del Parlamento britannico a interferire con gli affari interni delle colonie. Le trattative fallirono per il problema cruciale del diritto sovrano del Parlamento britannico di legiferare sugli affari delle colonie e i colloqui si interruppero il 16 febbraio 1775

 

 

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