L’Iraq, l’Iran e la questione curda

Curdi

L’Iraq, l’Iran e la questione curda

 

Con il disfacimento dell’Impero ottomano il gioco delle potenze europee in Medio Oriente divenne pressante. Il Trattato di Losanna assegnò la maggior parte del Kurdistan alla Turchia. Tuttavia, un’importante area strategica, quella di Mosul e Kirkuk, ricca di risorse petrolifere, fu assegnata al neonato Iraq, Stato che la Gran Bretagna volle artificiosamente creare. L’Iraq si caratterizzò per una relativa tolleranza nei confronti dei Curdi, ai quali la costituzione del 1925 e quella successiva del 1943 riconoscevano una certa parità di diritti, tra cui l’uso della lingua curda nelle pubblicazioni. In Iran, dopo l’avvento della dinastia Pahlavi, si favorì una relativa pacificazione dell’area curda iraniana.

La Repubblica di Mahabad

La carta curda iniziò a essere utilizzata nel contesto più ampio della contrapposizione Est-Ovest. In una piccola regione del Kurdistan iraniano il 22 gennaio 1946 fu fondata Repubblica di Mahabad, con il sostegno dell’URSS. La Repubblica rappresentava un primo tentativo di autonomismo curdo, potenziale nucleo di un Kurdistan indipendente, ma non fu riconosciuta da nessuna delle potenze alleate e durò soltanto undici mesi, fino alla violenta repressione del governo iraniano.

I Curdi in Iraq

Nel quadro della politica di contenimento nei confronti dell’Urss il Trattato di Baghdad creò un’alleanza militare filoccidentale tra Turchia, Iran e Pakistan, cui l’Iraq non aderì. Intorno agli anni ’60 l’Iraq assunse un orientamento nazionalista panarabo e filosovietico. Perciò alcuni paesi cercarono di utilizzare il movimento curdo per destabilizzare il regime iracheno. L’Iran sobillò le fazioni curde contro Baghdad. Anche Israele, spaventato dalla politica arabista dell’Iraq, iniziò ad armare il leader curdo Mustafa Barzani clandestinamente. Gli scontri tra Barzani e il regime iracheno continuarono fino al colpo di Stato del 1968 che portò al potere a Baghdad il partito nazionalista Baath. Il nuovo regime concluse un accordo di pace con Barzani l’11 marzo del 1970. Sembrò un successo per i Curdi. Infatti l’accordo prevedeva il riconoscimento del curdo quale seconda lingua ufficiale, l’autonomia delle province a maggioranza curda e la partecipazione dei Curdi al governo centrale. In realtà il regime iracheno non mantenne queste promesse e di lì a poco continuò la repressione.

La guerra tra Iraq e Iran

Anche durante la guerra iracheno-iraniana i Curdi furono oggetto di strumentalizzazione. I partiti curdi si ritrovarono schierati su fronti diversi. L’Iraq sostenne la guerriglia nel Kurdistan iraniano, appoggiando il Partito democratico del Kurdistan-Iran (Pdk-Iran), guidato da Abdulrahman Ghassemlu. L’Unione patriottica del Kurdistan, pur combattendo contro l’Iraq, aiutò Saddam a rifornire i guerriglieri del Pdk-Iran, in quanto partito alleato. Viceversa, il regime iraniano aiutò il Partito democratico del Kurdistan-Iraq (Pdk-Iraq), capeggiato da Mas’ud e Idris Barzani (figli di Mustafa Barzani).

Nel 1983 Saddam Hussein, sull’orlo della sconfitta militare nella guerra contro l’Iran, si accordò con l’Upk (Unione patriottica del Kurdistan), facendo diverse concessioni: costituzione di una milizia curda di circa 40 mila uomini, maggiori poteri alla regione autonoma curda, ingresso nel governo di membri dell’Upk e inclusione dell’area di Kirkuk nella regione autonoma del Kurdistan. A metà degli anni Ottanta Saddam Hussein iniziò, tuttavia, una sanguinosa repressione: deportazione in massa della popolazione curda, torture ed uccisioni, “arabizzazione” del Kurdistan iracheno attraverso l’invio nella zona di Kirkuk di Egiziani e Iracheni. Con il cessate-il-fuoco del 20 agosto 1988 tra Iran e Iraq, il regime iracheno ebbe mano libera: l’esercito fu concentrato nel Kurdistan e aerei militari bombardarono con gas letali interi villaggi al confine con la Turchia.

La prima guerra del golfo

Dopo la Guerra del Golfo (2 agosto 1990 – 28 febbraio 1991), che aveva visto l’intervento degli Stati Uniti in seguito all’invasione del Kuwait decisa da Saddam Hussein, i Curdi al Nord e gli Sciiti a Sud insorsero, pensando che il dittatore fosse finito. Gli Stati Uniti sembrarono intenzionati a sostenere la rivolta, per destabilizzare il dittatore. Tuttavia, dopo averlo costretto a ritirarsi dal Kuwait, per il timore di una disintegrazione dell’Iraq e di una destabilizzazione dell’intera area, gli Usa consentirono a Saddam di riprendere il controllo del paese e decisero di non aiutare i Curdi se non sul piano umanitario. Il 28 marzo la Guardia repubblicana di Saddam lanciò un massiccio attacco contro le forze curde. L’offensiva, condotta con estrema violenza, provocò l’esodo di milioni di profughi curdi verso l’Iran e la Turchia. Gli Stati Uniti e gli alleati imposero una no fly-zone, un’area di sicurezza nel Nord dell’Iraq al confine con la Turchia, che copriva la maggior parte dei territori abitati dai Curdi.

Autogoverno e conflitti tra Pdk e Upk

In quell’area iniziò una prima esperienza di autogoverno curdo. In assenza di istituzioni statali, le strutture interne del Partito democratico del Kurdistan (Pdk) e dell’Unione patriottica del Kurdistan (Upk) assunsero funzioni di governo e amministrative, rispettivamente ad Arbīl e a Sulaymāniya. Sin dai primi anni Novanta, i due partiti crearono istituzioni comuni, tra cui un parlamento. Tuttavia, l’amministrazione delle aree d’influenza di ciascun partito restò di fatto separata.

Nel maggio del 1992 si svolsero consultazioni elettorali nel Kurdistan iracheno per legittimare la creazione di una regione autonoma nel Nord dell’Iraq, comunque inserita in uno Stato iracheno sovrano. Tuttavia il Pdk e l’Upk, i due principali partiti curdi, non furono capaci di giungere a una soluzione politica comune. Le divergenze si acuirono fino a sfociare in una guerra civile (1994-1998) tra le due fazioni curde, con migliaia di morti. Il conflitto vide anche l’intervento della Turchia, in appoggio al Pdk (che era in contrasto con i guerriglieri del Pkk turco) e dell’Iran a sostegno dell’Upk. Saddam cercò di riottenere il controllo della regione, così i due partiti curdi furono costretti alla riconciliazione. Il 17 settembre del 1998, con la mediazione degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Turchia, Massud Barzani leader del Pdk e Jalal Talabani leader dell’Upk siglarono un accordo che prevedeva, tra l’altro, l’istituzione di una regione curda autonoma in Iraq.

La seconda guerra del golfo

Nella guerra in Iraq del 2003 le milizie Peshmerga dell’Unione Patriottica coadiuvarono l’avanzata degli Stati Uniti contro l’esercito iracheno. Alla fine del conflitto leader curdi entrarono quindi a far parte del Governo provvisorio. Nel decennio seguente i due partiti svilupparono una linea comune verso Baghdad, unificarono gli organi esecutivi del governo (in particolare le forze di sicurezza peshmerga) e attivarono la funzione legislativa del parlamento.

Il ritiro dalla scena politica di Jalal Talabani (2012) pose però fine all’accordo tra i due partiti, creando nuove tensioni. Le elezioni parlamentari del 2013 registrarono il successo del Pdk (primo partito con 38 seggi), la sconfitta dell’Upk (11 seggi persi) e l’emergere del nuovo partito d’opposizione Gorran (secondo con 24 seggi). Crebbe l’antagonismo tra Pdk e Upk, che si avvicinarono al proprio alleato regionale (il Pdk alla Turchia e l’Upk all’Iran). L’indebolimento indusse inoltre l’Upk ad avvicinarsi al Pkk turco per contrastare lo strapotere del Pdk.

Lo Stato Islamico

Le origini del gruppo Stato Islamico risalgono ad “al-Qa’ida in Iraq“, poi rinominata “Stato Islamico dell’Iraq”, fondata da Abu Muṣʿab al-Zarqāwī nel 2004 per combattere l’occupazione statunitense dell’Iraq e il governo iracheno sciita sostenuto dagli Stati Uniti dopo il rovesciamento di Saddam Hussein.

Nel 2013 lo Stato Islamico dell’Iraq proclamò unilateralmente la propria unificazione con la branca siriana di al-Qaeda, che aveva conquistato una parte del territorio siriano nell’ambito della guerra civile contro il governo di Baššār al-Asad, ma esponenti di quest’ultima smentirono la notizia. In seguito a questo contrastato annuncio, il gruppo cambiò nome in Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (Islamic State of Iraq and Syria, ISIS) o Daesh (al-Dawla al-Islāmiyya fī l-ʿIrāq wa l-Shām). Il suo capo, Abu Bakr al-Baghdadi, nel giugno 2014 proclamò la nascita di un califfato nei territori caduti sotto il suo controllo in un’area compresa tra la Siria nord-orientale e l’Iraq occidentale.

Nel 2014 l’ISIS ampliò il proprio territorio in Iraq (con la presa di Mosul) e proclamò la nascita del “califfato” il 29 giugno 2014. Le rapide conquiste territoriali dell’ISIS indussero gli Stati Uniti e altri Stati occidentali e arabi a intervenire militarmente contro l’ISIS con bombardamenti aerei in Iraq da agosto 2014 e in Siria da settembre 2014. Dapprima alleato di al-Qaeda, rappresentata in Siria dal Fronte al-Nusra, l’ISIS se ne distaccò nel febbraio 2014. A partire dall’ottobre 2014, altri gruppi jihadisti esterni all’Iraq e alla Siria dichiararono la propria affiliazione all’ISIS.

I Curdi contro l’ISIS e il referendum

Nel corso della guerra del governo iracheno all’Isis, che nell’agosto 2014 aveva occupato ampi territori dell’Iraq settentrionale incluse aree a maggioranza curda, i peshmerga curdi riconquistarono ampie regioni, come la piana di Ninive e la regione petrolifera di Kirkuk. Il presidente della regione autonoma del Kurdistan, Mas’ud Barzani, indisse per il 25 settembre 2017 un referendum sull’indipendenza della regione dall’Iraq. Sul piano internazionale, tuttavia, soltanto lo Stato di Israele sostenne l’iniziativa referendaria, mentre le maggiori potenze, come gli Stati Uniti, si dichiararono contrarie alla divisione dell’Iraq.

L’esito del referendum vide il 92,73% dei voti favorevoli all’indipendenza dall’Iraq. Tuttavia il governo centrale non aveva accettato la decisione del governo curdo di indire il referendum e non ne riconobbe l’esito, attuando una serie di misure repressive nei confronti della regione. A un mese dal referendum, il Kurdistan ha accettato di congelarne il risultato e di avviare un dialogo con il governo di Bagdad. Il presidente del Kurdistan Mas’ud Barzani ha presentato le dimissioni, riconoscendo la sconfitta della propria strategia politica in assenza di appoggio internazionale.

 

 

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