M. Buber Neumann, Vita quotidiana in Siberia

Prigioniera

M. Buber Neumann, Vita quotidiana in Siberia – Capitolo terzo

> Margarete Buber Neumann, Prigioniera di Stalin e di Hitler

 

Margarete, nonostante i suoi compagni di prigionia tentino di dissuaderla, chiede al “nacialnik” (capo) della N.K.V.D. di inoltrare una petizione al Tribunale supremo. Il risultato è che due settimane dopo viene rinchiusa nel blocco di punizione, in condizioni ancora peggiori di prima. La situazione igienica è tremenda e la baracca delle donne una catapecchia fatiscente. Anche qui i criminali comuni si trovano in una situazione privilegiata. Verso le tre del mattino viene suonata la sveglia e le donne escono dalla baracca, ebbre di sonno e intirizzite dal freddo. Nel fetore nauseabondo delle latrine i prigionieri si avvicinano alla marmitta per ricevere la loro misera porzione di una minestra di miglio. Raggiunto un enorme campo i detenuti devono interrare delle piantine di girasole e togliere le erbacce. Margarete si trova in difficoltà nello svolgere il lavoro e viene rimproverata. Poi un prigioniero addetto ad affilare le zappe la aiuta, affilandole la zappa e dandole preziose indicazioni su come lavorare. Poi riceve la desiderata, benché misera, zuppa e stremata si addormenta, sotto il sole cocente. [“Nel blocco di punizione”.]

Margarete viene svegliata da Boris, un giovane comunista lituano, che ha trascorso parecchi anni di carcere nel suo paese, dove si è ammalato di tubercolosi. Trasferito in un sanatorio a spese del Soccorso rosso, era fuggito in Unione Sovietica. Era stato inizialmente accolto con calore, e si era recato in un sanatorio a Yalta, sul Mar Nero. Si era poi recato a Odessa, dove aveva lavorato in un calzaturificio, dove aveva conosciuto una donna, che aveva sposato. Ma dopo un anno Boris era stato arrestato dalla N.K.V.D., accusato di essere una spia e condannato a otto anni di campo di concentramento. Tra Boris e Margarete nasce un rapporto di amicizia e di aiuto reciproco molto intenso, che però si interrompe quando un gruppo di detenuti, di cui Boris fa parte, è costretto a partire per la Siberia centrale. La partenza dell’amico, che le regala un portasigarette intagliato nel legno come ricordo, lascia Margarete senza energie. [“Boris”.]

Dopo la partenza di Boris, Margarete viene assegnata alla colonna per la disinfestazione dalla “brucellosi”, che aveva il compito di spalare il letame dall’impiantito degli ovili. Il soldato di guardia è un kazako, che spesso si mostra umano nei confronti delle prigioniere. Un giorno, a rischio di una dura punizione se scoperto, si reca a cavallo nella cittadina poco distante, per procurare loro pane e zucchero. Un giorno arriva una nuova brigata di cui fa parte una giovane tedesca di nome Olga, che ha conservato tratti tipicamente germanici nonostante la sua famiglia fosse emigrata in Russia molti anni prima. Olga suonava il pianoforte fin da piccola ed era una pianista famosa ma lei e il marito erano stati arrestati con l’accusa di spionaggio. La donna è inadatta al lavoro manuale, goffa e lenta. Fatica terribilmente e al tempo stesso viene insultata e ridicolizzata dalle compagne, con l’eccezione di Margarete, che cerca di prendere le sue difese. Dopo qualche tempo Olga viene trasferita in una sezione per gli invalidi. [“Nel cuore della steppa”.]

Nella colonna lavorano anche due suore, estremamente riservate e remissive, condannate per “agitazione controrivoluzionaria”. Un giorno le due donne cantano antichi inni religiosi e Margarete si avvicina ad ascoltarle, poi a sua volta intona un canto mariano. Nella colonna c’è inoltre Lydia, una giovane dall’abito logoro che racconta i suoi passati successi con gli uomini. La poveretta è ormai priva di denti ed è lo zimbello della colonna. Alcune prigioniere, le protette dei cucinieri, godono di un’alimentazione migliore. Nella colonna lavora anche Alexandra, dapprima inviata in “libero” esilio, essendo evidente la sua innocenza. Essendo un’abile modista, aveva iniziato a confezionare vestiti e cappelli di taglio occidentale per le mogli dei funzionari sovietici e un nuovo berretto di foggia militare per gli uomini Okazaki. Questo le aveva fatto guadagnare molti soldi, ma le era costato la ridicola accusa di aver “preparato una rivolta armata” assieme agli altri esiliati e la condanna a otto anni di campo di concentramento a Burma. Margarete si sofferma sul sistema del lavoro coatto che costituisce un elemento basilare dell’intera struttura economica dell’Unione Sovietica.

In Unione Sovietica il sistema del lavoro coatto costituisce un elemento basilare dell’intera struttura economica. Nelle fasi preliminari del piano quinquennale l’ammontare della forza lavoro destinata ai lavori forzati veniva accuratamente calcolato. Questa politica fu incentivata al punto che nel 1937 agli uffici distaccati della N.K.V.D. furono impartiti ordini precisi sul numero degli arresti e delle condanne da eseguire. L’intera rete dei cosiddetti campi di rieducazione o colonie dipendeva dall’ente denominato GULAG, cioè dalla direzione suprema dei campi. Pur costituendo una sezione della N.K.V.D., il GULAG era a stretto contatto con la Commissione statale di pianificazione. L’amministrazione suprema stipulava contratti di lavoro con singole fabbriche o complessi industriali, disponendo dei suoi schiavi come di merce inanimata. Questo serbatoio di deportati contribuì ad erigere l’industria sovietica, alla bonifica di immense lande desertiche, all’estrazione delle ricchezze minerarie e a collegare il paese con una poderosa rete ferroviaria e fluviale; l’apporto di questi disgraziati al presunto balzo economico del gigante sovietico è ancor oggi incalcolabile. E’ immenso. Il GULAG – questo enorme centro di smistamento di materiale umano diseredato – provvedeva ad un’adeguata ripartizione dei compiti. Gli anni della grande epurazione misero a disposizione del GULAG un’ingente massa di lavoratori schiavizzati, ciononostante la domanda sembrava incolmabile. Pur elevato, il numero dei condannati ai lavori forzati si rivelò ancora insufficiente. Per questo i deportati in «libero esilio», i coloni «volontari» ed altri simili sventurati – che si differenziavano poco o nulla dallo status di prigioniero – provvidero a colmare questi vuoti.”

Della colonna fa parte una giovane zingara, Sina, dallo spirito libero, che sogna di poter andare a vivere in un “tabor”, un campo nomadi.una notte la ragazza riesce a fuggire, assieme a una compagna. Fuggire da Karaganda è un’impresa pressoché impossibile, anche se qualche caso si verifica. Non esistono per le detenute domenica o giorno libero. L’esenzione dal lavoro c’è solo in occasione delle feste sovietiche di maggio e di novembre o quando vi sono tempeste di sabbia, in estate, o bufere di neve, in inverno. [“Bestie da lavoro”.]

Una sera un carro conduce le prigioniere alla nuova sezione «El Marje», adagiata tra le colline antistanti gli Urali. Il paesaggio è molto bello ma non c’è tempo per goderne, a causa del continuo massacrante lavoro. Un giorno Margarete e una compagna, Tamara, si svegliano con la febbre alta e vengono esonerate dal lavoro. Tamara ha studiato medicina, ma la sua passione è la poesia, che compone lei stessa. Proprio per una poesia, intitolata “Inno alla libertà”, è stata condannata a otto anni di blocco di punizione. Margarete assume l’incarico di procurarsi l’acqua per ripulire gli ovili e per farlo deve recarsi con due buoi nella steppa. Aggiogati con difficoltà i due buoi, Vassja e Mishka, si dedica così a questo lavoro. Le prigioniere riescono a procurarsi della pasta, a cuocerla e mangiarla. Poi la brigata femminile viene trasferita in una nuova sezione che fabbrica mattoni. Qui, assieme a una giovane musulmana, Margarete ha il compito di rigirare i mattoni, lasciati seccare al sole. Margarete e la giovane vedono due pastori, che stanno passando lì vicino. La ragazza si mette a cantare e i pastori le rispondono con lo stesso canto. Poi uno dei due pastori si avvicina e offre loro un po’ della sua prelibata minestra di sorgo, insaporita con midollo di montone. [“Autunno”.]

Una sera Margarete viene prelevata singolarmente, con un autocarro, destinazione Burma. Nella baracca alla quale è destinata spadroneggiano i criminali comuni e le loro donne, che si aggirano nello stanzone seminude e piene di tatuaggi. Mentre Margarete sta lavorando Shura, una criminale comune, la aggredisce e ne nasce una violenta zuffa, seguita da una seconda aggressione da parte di Tanja, la migliore amica di Shura. Bloccata dalle “politiche” Tanja minaccia Greta di ammazzarla, così per lungo tempo le amiche la scortano quando esce. Poi un giorno Tanja dichiara di voler mettere fine alla loro inimicizia. Nina la spia finisce in ospedale per le botte poi viene trasferita. Tasso incontra Margarete e la invita a scrivere una lettera da far pervenire alla madre. [“Ritorno a Burma”.]

Un giorno Margarete si ammala e viene ricoverata nell’ospedale del campo, in condizioni che sembrano disperate, con una febbre altissima e in stato di semi incoscienza. L’ospedale è sovraffollato e ci sono brande persino nei corridoi ma almeno ogni malato ha il suo letto, benché pieno di pidocchi. Il medico dell’ospedale è un gentile prigioniero polacco. Tasso Salpeter va a trovare Margarete, che viene dimessa dopo una ventina di giorni con l’indicazione di non sottoporla a lavori faticosi. Viene assegnata alla colonna della “dispensa delle verdure” e diventa la vivandiera della sua camerata. Riesce a rubare patate e verdure, che arricchiscono la dieta delle prigioniere. Un giorno però inciampa e si rompe il metatarso. Nonostante il dolore nel camminare, riesce in qualche modo ugualmente a recarsi al lavoro. [“In ospedale”.]

A Burma la stagione migliore per i prigionieri è l’inverno, perché le giornate, e di conseguenza l’orario di lavoro, sono più corti. Vi sono poi giornate in cui la bassissima temperatura o una bufera di neve impediscono di uscire a lavorare. Le prigioniere riposano di più e sono di buon umore. Alcune di loro cantano, come una cantante d’opera di Leningrado, o come una giovane bionda che intona una triste melodia popolare. C’è poi anche la danzatrice Tamara, amica di Margarete, che si esibisce in una danza cosacca. Si mormora che nello stanzone c’è una spia dell’N.K.V.D. In inverno arrivano anche pacchetti da chi ha famigliari o amici. A un’anziana tolstojana giunge un pacchettino accompagnato da una lettera, da parte della sua nipotina. Al campo giungono molti nuovi detenuti, quasi tutti criminali comuni. Molte delle criminali comuni non vanno al lavoro e spesso cantano canzoni che esaltano la loro vita da fuorilegge e prendono di mira le autorità. Aleksej Michailovic, un altro tolstojano sessantenne ha il compito di controllare che nessuno si avvicini e passi del cibo ai reclusi, ma in realtà li aiuta. L’uomo è molto malridotto, ma racconta a Margarete di aver viaggiato molto e di aver visitato anche Potsdam, la sua città natale. È stato arrestato per aver cercato di proteggere i contadini che non volevano entrare nelle cooperative. Quando fuori infuria la bufera, le prigioniere cantano, in particolare un brano che parla dei “bjesprisornis”, le migliaia di orfani lasciati dalla guerra, dalla rivoluzione e dalla povertà. Una delle nuove racconta di provenire da una sezione per minori e descrive in quali tremende condizioni si trovino. [“Inverno siberiano”.]

In dicembre del 1939 Margarete viene impiegata nell’ufficio amministrativo e lì ritrova molte compagne, tra cui Tasso Salpeter, Grete Sonntag e Stefanie Brun, che le procurano cibo prelibato. Un giorno viene convocata dal “nacialnik” (capo), il quale le comunica che sarà trasportata al centro di raccolta di Karaganda. Tutte le compagne sono convinte che finalmente Margarete sarà rimessa in libertà e ne sono felici per lei. Si salutano tra abbracci e pianti strazianti. Le donne della sua baracca le donano un sacchetto di pane, un sacchetto di aringhe e sessanta rubli. Il mattino seguente si trova ad attendere la partenza assieme a un ufficiale usbeco ma vengono a prelevarli solo la sera, assieme a tre anziani, destinati a una sezione per invalidi. Dopo Grete, anche Stefanie va a salutarla per l’ultima volta. [“Un punto di svolta”.]

 

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