Medici e medicina durante il fascismo

medicina e fascismo

Medici e medicina durante il fascismo

Sintesi e rielaborazione dal libro omonimo di Giorgio Cosmacini

 

Il duce medico d’Italia 

La propaganda del regime fascista fece uso frequente e insistito di metafore mediche. Mussolini fu definito “medico d’Italia” e spesso il duce stesso fece ricorso ad espressioni di ambito medico: “io che ho il polso della nazione…”, “applicheremo i metodi più drastici anche al paziente più ribelle”, “le leggi sono come le medicine: date a un organismo che è ancora capace di qualche reazione, giovano; date a un organismo vicino alla decomposizione, ne affrettano la fine”. 

Il corpo del duce

Il corpo del duce era oggetto di culto e di esaltazione. Se ne esaltava la “maschia romanità”, “le spalle larghe” la testa ”imperiale dai lineamenti profondi”, la “fronte cesarea”, gli “occhi d’acciaio”, la “voce metallica”. Enrico Ferri, anch’egli ex socialista, che aveva aderito al fascismo, esaltava di Mussolini la “faccia napoleonica”, l’”ampia fronte prominente”, la “mandibola quadrata” e persino il turgore della “tiroide”. 

Malaria, tubercolosi, sifilide

Malaria

Nel dicembre 1923, poco dopo la presa del potere, fu approvato il Testo Unico delle “leggi sulla bonificazione delle paludi e dei terreni paludosi” (Legge Serpieri). Serpieri fu l’ispiratore della politica antimalarica del regime, ideatore del concetto di “bonifica integrale”. Egli attribuì al Testo unico il merito di aver associato all’idea della “grande bonifica” territoriale quella della “piccola bonifica” realizzata con il concorso dei privati. Il 18 maggio 1924 fu poi varato il decreto legislativo “Provvedimenti sulle trasformazioni fondiarie di pubblico interesse” (n. 753). Esso fissava lo schema generale delle grandi opere di trasformazione fondiaria e prevedeva che il Ministero potesse procedere all’esproprio dei terreni a fronte di proprietari che non agissero secondo il piano generale di trasformazione.

La Legge Mussolini (n. 3134) del 24 dicembre 1928 rilanciò la “bonifica integrale”, prevedendo una serie di interventi da realizzarsi in quattordici anni per una spesa di circa sette miliardi di lire. L’ambizioso progetto era orientato in direzione autarchica. Esso mirava ad accrescere la produzione agraria nazionale e si proponeva l’obiettivo “del ripopolamento o dell’accrescimento della razza”. Nel “discorso dell’Ascensione” del 26 maggio 1927 e in altre occasioni Mussolini aveva asserito la necessità di “ruralizzare l’Italia” per fortificare la stirpe, sostenendo tra l’altro che “le industrie sane sono quelle che trovano da lavorare nell’agricoltura e nel mare”.

Bonifica rurale, “battaglia del grano” e crescita demografica (definita “razziale”) convergevano e, anche grazie al notevole aiuto finanziario della Rockefeller Foundation, fu realizzata una massiccia serie di interventi di bonifica, nella pianura padana (in particolare ferrarese), in Toscana, nelle isole e soprattutto nelle Puglie, nel basso Volturno e nell’Agro Pontino. Qui la fondazione di Littoria (dicembre 1932), di Sabaudia (agosto 1933) e poi di Pontinia e di Aprilia ebbe un notevole impatto sull’opinione pubblica e rappresentò uno dei maggiori successi del fascismo. La mortalità per malaria scese da oltre 4000 decessi nel 1922 a meno di 1000 nel terzo quinquennio del regime, tuttavia si può presumere che in parte questo successo fosse dovuto agli esiti a distanza della “medicina sociale” prefascista. Inoltre, il medico fascista Cesare Coruzzi, nonostante la sua adesione al regime, nel 1935 riconosce che la bonifica integrale “è stata eseguita, e non totalmente, su meno di un sesto del preventivato”.

Tubercolosi

La Legge n. 1276 del 13 giugno 1927 impegnava le province d’Italia a istituire Consorzi antitubercolari destinati a disciplinare la lotta contro la malattia, ad assistere i malati, a tutelare i sani. Inoltre, con decreto n. 2055 del 27 ottobre 1927 il regime diede il via all’assicurazione obbligatoria che fissava per gli assicurati di invalidità e vecchiaia un ulteriore contributo finalizzato a garantire la cura per loro e per i loro famigliari, qualora si ammalassero di tubercolosi, da parte della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali. Mussolini escluse tuttavia che la lotta alla tubercolosi potesse gravare sul bilancio pubblico, a carico dello Stato.

La politica antitubercolare del regime si basò pressoché esclusivamente sui sanatori (gli ospedali destinati ai malati di tubercolosi) e sui dispensari (per la prevenzione e la diagnosi precoce). L’ospedalizzazione antitubercolare portò all’istituzione di circa sessanta sanatori per complessivi 18000 posti letto mentre nel 1940 si contavano circa 500 dispensari. Tra il 1922 e il 1940 la mortalità per tubercolosi si dimezzò, da 59.887 a 33.250 decessi annui. Fu invece trascurata la prevenzione primaria, finalizzata a ridurre l’incidenza della malattia e che richiedeva il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Inoltre, negli anni Trenta non esistevano ancora farmaci specifici contro i bacilli della malattia.

Sifilide

La terza piaga endemica era la sifilide. Il regime varò una serie di misure che miravano al controllo sanitario della prostituzione, quella delle “case chiuse” e quella dei marciapiedi. Il Testo unico del 6 novembre 1926 previde un’azione moralizzatrice che consentiva però di frequentare il marciapiede alle prostitute provviste di “tessera sanitaria” vidimata a seguito di visite trisettimanali eseguite nei “dispensari dermoceltici”. Nel 1930 il nuovo Codice di procedura penale varato dal ministro di Grazia e Giustizia Alfredo Rocco prevedeva all’articolo 554 il reato di contagio di malattia venerea, punito con la reclusione da uno a tre anni ove il malato (la malata) occultasse la sua condizione. In questo campo la propaganda di regime vantò una presunta, costante diminuzione, basata sulla “profilassi della prostituzione” oltre che di cure specifiche più efficaci. Tuttavia i dati reali sull’incidenza della sifilide sembrano essere ben maggiori dalle statistiche ufficiali, a giudicare dalla relazione tenuta da Agostino Crosti, professore di clinica dermosifilopatica, al XXX Congresso della Società italiana di dermatologia e sifilografia (12-14 ottobre 1936), secondo il quale vi sarebbero “700-800 mila contagiati da sifilide nel Regno” con un’elevata mortalità.

Corporativismo

I medici delle mutue

Nel 1935 furono soppressi gli ordini provinciali dei medici chirurghi, dei veterinari e dei farmacisti. I medici, inquadrati a livello locale nei sindacati fascisti, lo furono a livello nazionale nella Corporazione fascista dei professionisti e degli artisti. Il medico delle mutue fu visto come strumento dei fascistizzazione della famiglia.e della società.  Per il prevalere di interessi categoria burocratici e amministrativi, il regime rinunciò alla prospettiva della unificazione delle mutue, di cui il commissario straordinario Raffaele Bastianelli, insediato al vertice del Sindacato medico proclamava nel 1938 l’inutilità. Il sistema tendeva a produrre prestazioni, più che salute, tema che resta attuale. Solo con la legge n. 138 dell’11 gennaio 1943 si tentò di fondere le varie gestioni in un solo ente e fu creato l’Ente Mutualità, poi Istituto Nazionale delle Assicurazioni (INAM).

I medici delle cattedre

Il regime, talvolta cadendo nel ridicolo, rivendicò per gli Italiani il ruolo di precorritori di grandi scoperte scientifiche. Per il fascismo la scienza non è sovranazionale, deve avere il marchio nazionale, certificato dal regime. La medicina diviene nazionale, italica, corporativa. Questa visione fu accolta dai medici delle cattedre e nel 1925 il Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile raccolse raccolse le firme di molti medici. Tra di essi anche quelle di Mario Donati e Carlo Foà, la cui adesione al regime non eviterà loro nel 1938 di essere vittime delle leggi razziali. L’8 ottobre 1931 fu imposto a tutti i docenti universitari di giurare fedeltà al regime e ben pochi furono coloro che rifiutarono di farlo. Tra i pochi, ci furono due soli medici titolari di docenza universitaria: il medico legale Mario Carrara e Bartolo Nigrisoli, clinico chirurgo a Bologna.

I medici delle ricerche

In un’ottica nazionalistica il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) assunse il dichiarato compito di coordinare le attività nazionali nei vari rami della scienza e delle sue applicazioni in campo economico, operando come consulente del Duce, occupandosi anche di rivendicare i presunti mancati riconoscimenti internazionali alla scienza e alla medicina italica. Nei primi anni Trenta, quando l’alleanza con il Reich era ancora lontana, il regime fascista prese le distanze dal razzismo nazista e sostenne un’eugenetica italiana, positiva, tesa a migliorare la “stirpe”, la razza italica, contrapposta all’eugenetica tedesca, negativa, che poneva la razza nordica sopra tutte le altre. Nel 1935 la voce Razza dell’Enciclopedia italiana, firmata da Nicola Pende, fondatore della biologia politica, attestava queste posizioni. Tuttavia la sostituzione del concetto di razza a quello di popolazione sfociò ben presto in una dottrina sociopolitica che giustificava l’antisemitismo.

Imperialismo

La medicina italiana fu coinvolta nell’avventura coloniale. La guerra d’Etiopia ebbe conseguenze sul tenore di vita degli Italiani e richiese grande attenzione sul piano sanitario, per le ostili condizioni climatiche e per le malattie presenti. 

Così, la fisiologia della nutrizione di Filippo Bottazzi e Sabato Visco si sposò con il “senso del limite” interpretato a rovescio, applicato non agli iperconsumi dei ricchi ma ai sottoconsumi dei poveri. Essa giustificava aforismi come “Noi non amiamo la vita comoda” e politiche economico-sociali caratterizzate dal “tirare la cinghia”. 

Aldo Castellani, illustre infettivologo, senatore del regno e accademico pontificio, curante di Mussolini, scopritore del Trypanosoma (agente patogeno della malattia del sonno) e della Spirocheta partenuis (agente patogeno della framboesia) fu incaricato dal Duce di coordinare l’organizzazione medica della spedizione. Egli riferisce un bilancio a suo dire positivo, di “soli” 599 morti per malattia a fronte di 1099 morti sul campo.  Diversa appare la testimonianza di un medico in grigio-verde che parla di truppe decimate da tifo, vaiolo, dissenteria, malaria, malattia del sonno, febbre gialla, sifilide, blenorragia.  Il reportage di un giornalista inglese fu screditato facendo credere che gli effetti dell’iprite sugli Etiopi fossero invece piaghe dovute alla lebbra. Infine, nel massacro coloniale si sviluppò la chirurgia maxillo-facciale nel tentativo di riparare agli effetti devastanti dell’esplosione delle pallottole dum-dum sul volto degli indigeni.

Eugenetica e leggi razziali

Nel 1938 Mussolini si legò più strettamente alla Germania nazista. Pubblicato, con il titolo Il fascismo e i problemi della razza, su “Il Giornale d’Italia” del 14 luglio 1938, il Manifesto degli scienziati razzisti anticipò di poche settimane la promulgazione della legislazione razziale fascista (settembre-ottobre 1938). Il manifesto fu pubblicato nuovamente sul quindicinale Difesa della razza, diretto da uno dei giornalisti più attivi nella polemica antisemita, Telesio Interlandi. Firmato da alcuni dei principali scienziati italiani, esso divenne la base ideologica e pseudo-scientifica della politica razzista dell’Italia fascista. Tra i firmatari del Manifesto figurano Nicola Pende, patologo medico, Franco Savorgnan, demografo e presidente dell’Istituto Centrale di Statistica, Sabato Visco, fisiologo, Edoardo Zavattari, zoologo, Arturo Donaggio, clinico neuropsichiatra. La distanza tra l’eugenetica tedesca e quella italiana quasi scompaiono: gli italiani sono definiti, nella loro maggioranza, di origine ariana e gli Ebrei non appartengono alla “razza italiana”. Il 5 settembre il regime approvò le Leggi razziali, che escludevano gli Ebrei dalle funzioni pubbliche e dalla scuola. Tra questi ben 99 professori universitari, tra i quali il fisico Enrico Fermi la cui moglie era ebrea e, tra i medici, Giuseppe Levi e Mario Donati, quest’ultimo nonostante la sua adesione al regime.

Sintesi e rielaborazione da: 

Giorgio Cosmacini, Medici e medicina durante il fascismo, Edizioni Pantarei, Milano, 2019

 

 

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