Migrazioni: dal secondo dopoguerra a oggi

Migrazioni: dal secondo dopoguerra a oggi

 

La seconda guerra mondiale stravolse gli assetti delle rotte migratorie, delineando una nuova figura di migrante: il profugo, che fugge da guerre e persecuzioni e, nello specifico, il profugo ebreo che fugge dal delirio nazista. La Convenzione di Ginevra del 1951 introdusse la figura giuridica del rifugiato, come colui che “nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato”.

Se si esclude il periodo tra le due guerre mondiali, durante il quale i movimenti migratori si ridussero fortemente, anche a causa dei severi sistemi di controllo introdotti da gran parte dei paesi belligeranti, negli anni successivi al secondo conflitto mondiale prese avvio un nuovo forte flusso migratorio, almeno fino alla fine degli anni ’70. Tale movimento, diretto in parte verso alcuni paesi extra europei, avvenne tuttavia principalmente all’interno degli Stati europei, in particolare dai paesi del Sud verso i paesi del Nord. Esso fu dovuto principalmente ai processi di ricostruzione avviati nel secondo dopoguerra e alla forte crescita della domanda di lavoro proveniente dall’industria manifatturiera. In alcuni paesi (vedi il caso dell’Italia) le migrazioni interne assunsero dimensioni notevoli, come conseguenza di un rapido processo di industrializzazione verificatosi tra gli anni ’50 e ’60.

Migrazioni intracontinentali europee

Nell’Ottocento e nel Novecento ebbero grande importanza anche le migrazioni intracontinentali europee. Numerose furono le correnti migratorie che dai paesi a economia prevalentemente preindustriale si diressero verso i paesi industrializzati. Il deflusso fu particolarmente forte dall’Italia, ma anche dalla Spagna, dall’Austria, dall’Ungheria e dalla Polonia. Mete prevalenti furono la Francia, la Germania, il Belgio e la Svizzera. Questa tendenza si fece particolarmente forte dopo la Seconda guerra mondiale, con il boom economico che investì l’Europa dagli anni Cinquanta e Sessanta. Un forte movimento migratorio di Italiani, Spagnoli, Portoghesi, Greci si diresse verso i paesi del Centro e Nord Europa in cerca di lavoro.

Da un lato la costituzione della Comunità Europea e la conseguente libera circolazione dei lavoratori al suo interno, dall’altro la progressiva e rapida industrializzazione dell’Europa mediterranea mutarono le caratteristiche delle correnti intracontinentali europee. Così, ad esempio, i flussi intracomunitari assunsero il carattere di migrazioni ricorrenti e divennero meno consistenti. Alcuni paesi con maggiore necessità di utilizzare manodopera straniera, come la Germania, fecero così progressivamente ricorso a flussi migratori alternativi. In Germania, appunto, giunsero molti lavoratori provenienti dalla Turchia. Nel 1973 con la crisi economica mondiale che seguì allo shock petrolifero le politiche migratorie virarono in senso restrittivo e i flussi di migranti sull’asse Sud-Nord si ridussero significativamente.

Dagli anni Ottanta…a oggi

A partire dalla fine degli anni Ottanta iniziò in Europa un nuovo asse migratorio, da Est verso Ovest. Con la crisi e il crollo dell’URSS e dei regimi filosovietici del Patto di Varsavia molti cittadini dell’Europa Orientale emigrarono verso i paesi dell’Europa Occidentale. Milioni di Polacchi, Romeni, Albanesi, Moldavi, Ucraini e Russi emigrarono verso Ovest. Queste migrazioni sono proseguite fino ai giorni nostri, facilitate dall’ingresso nell’Unione Europea di otto paesi nel 2004 (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria), e poi di altri due, Romania e Bulgaria, nel 2007.

Negli ultimi decenni sono inoltre iniziati forti flussi migratori dai paesi in via di sviluppo, dall’Africa settentrionale, dall’Africa sub-sahariana, dalla Cina e dall’India, verso i paesi ricchi e sviluppati dell’Europa, dell’America e dell’Asia. Il divario demografico tra il Nord e il Sud del mondo ha prodotto una sempre maggiore pressione demografica intercontinentale: popolazioni africane e asiatiche premono in misura crescente sui paesi europei e sull’America del Nord.

Agli effetti prodotti dallo sviluppo capitalistico, si sono aggiunti quelli causati da conflitti religiosi ed etnici, che hanno concorso a ingrossare i flussi, particolarmente quelli diretti verso l’Europa. Questi flussi di nuova direzione sembrano destinati a perdurare almeno fino alla metà del XXI secolo, favoriti dal progressivo invecchiamento della popolazione e dal calo demografico di molti paesi europei.

Secondo i dati Eurostat, al 1° gennaio 2018, i cittadini residenti in uno Stato membro dell’UE e aventi la cittadinanza di un paese terzo erano 22,3 milioni, pari al 4,4 % della popolazione dell’UE-28. Inoltre, al 1° gennaio 2018, 17,6 milioni di cittadini residenti in uno degli Stati membri dell’UE avevano la cittadinanza di un altro Stato membro dell’UE.

In termini assoluti il numero più elevato di stranieri residenti nell’UE al 1° gennaio 2018 si registra in Germania (9,7 milioni di persone), nel Regno Unito (6,3 milioni), in Italia (5,1 milioni), in Francia (4,7 milioni) e in Spagna (4,6 milioni). Gli stranieri residenti in questi cinque Stati membri rappresentano complessivamente il 76 % del totale di stranieri nell’UE-28, mentre la popolazione degli stessi cinque Stati membri rappresenta il 63 % della popolazione dell’UE-28. In termini relativi lo Stato membro dell’UE con la quota più elevata di stranieri è il Lussemburgo (48 ;% del totale della sua popolazione).

 

 

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