Pentapartito e fine della “prima repubblica”
I governi di pentapartito
Dopo le amministrative del 1978, le elezioni politiche anticipate del 1979 videro un sensibile calo dei consensi per il Partito comunista e si crearono così le condizioni per il ritorno a una nuova fase di governi di centrosinistra, basati sull’alleanza tra DC e PSI. Il 18 ottobre 1980 si formò un governo presieduto da Arnaldo Forlani, che escludeva ogni intesa con il PCI, costretto a dimettersi l’anno successivo, travolto da scandali, tra cui quello della P2, loggia massonica con finalità eversive.
Nel 1981 fu nominato presidente del Consiglio il repubblicano Giovanni Spadolini (1981-82). Nel 1983, dopo le elezioni, assunse la guida del governo Bettino Craxi, segretario del Partito Socialista Italiano, che fu Presidente del Consiglio dal 4 agosto 1983 al 18 aprile 1987. Craxi fu uno degli uomini politici più influenti degli anni Ottanta, un periodo di ripresa economica, benché accompagnato da una crescita dell’economia sommersa e da un abnorme aumento del debito pubblico.
Il governo Craxi fu artefice di un nuovo concordato tra Stato e Chiesa (febbraio 1984), che segnò la fine dello stato confessionale, poiché la religione cattolica cessò di essere riconosciuta come religione di Stato. Inoltre, Craxi affrontò la cosiddetta “crisi di Sigonella” con gli Stati Uniti, in seguito al dirottamento a opera di palestinesi della nave Achille Lauro (ottobre 1985), circa la sorte dei sequestratori, che avevano ucciso un passeggero disabile, ebreo statunitense.
Dopo la caduta del governo Craxi, le elezioni anticipate del giugno 1987 premiarono i due maggiori partiti della coalizione di governo, la DC e il PSI, ponendo le premesse di un’ulteriore riedizione del pentapartito fino alle elezioni del 5 aprile 1992. In questa fase, durante la quale i principali governi furono retti da Ciriaco De Mita (1988-89) e da Giulio Andreotti (1989-91), ebbe un ruolo assai attivo il presidente della repubblica Francesco Cossiga (1985-92), che intervenne con le sue “esternazioni”.
Fattori internazionali, come la dissoluzione dell’Unione Sovietica e dei regimi dell’Europa centro-orientale, e fattori interni come l’abnorme spesa pubblica, che aveva provocato un enorme indebitamento dello Stato fecero precipitare la crisi del sistema politico italiano.
La crisi della “prima Repubblica
Nelle regioni settentrionali del paese, in particolare nelle aree più ricche e dinamiche della Lombardia e del Nord-Est, si svilupparono le “leghe”, federate dal dicembre del 1989 nella Lega Nord, che accanto a temi antimeridionalistici pose quelli del federalismo, della critica allo Stato assistenziale, della partitocrazia e della corruzione.
Il PCI si trasformò nel Partito democratico della Sinistra (PDS), per opera di Achille Occhetto nel febbraio del 1991, mentre nel dicembre dello stesso anno una scissione diede vita al Partito della Rifondazione comunista.
Le elezioni politiche del 5 aprile 1992 diedero il segnale di una profonda crisi: la DC scese al 29,7% e il PSI al 13,6%; il PDS e Rifondazione comunista ottennero rispettivamente il 16,1% e il 5,6%; la Lega Nord ottenne l’8,6% dei voti. Il progetto di un nuovo governo Craxi e dell’elezione alla presidenza della Repubblica di Arnaldo Forlani divenne impraticabile.
L’assassinio di Falcone e Borsellino
In un clima estremamente teso, segnato da due gravi delitti di mafia in cui furono assassinati i giudici Giovanni Falcone (23 maggio 1992) e Paolo Borsellino (19 luglio 1992), fu eletto presidente Oscar Luigi Scalfaro (25 maggio 1992) e capo del governo il socialista Giuliano Amato (28 giugno 1992), che guidò un quadripartito comprendente DC, PSI, PSDI e PLI.
La fine della “prima Repubblica
La corruzione del sistema politico emerse con evidenza nel 1992: una serie di inchieste della Procura di Milano mise in luce un vasto sistema di corruzione finalizzato al finanziamento illegale dei partiti e degli uomini di governo (soprattutto della DC e del PSI), delegittimando di fatto gran parte della classe politica.
Tangentopoli
Nell’inchiesta ebbe un ruolo di primo piano il magistrato Antonio Di Pietro. Tra le vittime eccellenti di “Tangentopoli” vi furono Bettino Craxi, che si dimise dalla segreteria del PSI nel febbraio del 1993 e si rifugiò in Tunisia per evitare il carcere, e Arnaldo Forlani, leader della DC, anch’egli costretto ad abbandonare la vita politica.
Dopo le dimissioni di Amato (22 aprile 1993) si formò un “governo tecnico” presieduto dall’ex governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi. In tale contesto si iniziò a parlare di fine della “prima Repubblica”. Infatti crollò pressoché completamente il sistema dei partiti tradizionali.
La DC, dopo una secca sconfitta alle amministrative del 1993, si sciolse nel gennaio del 1994 trasformandosi in Partito popolare (PPI), da cui si separò poi il Centro cristiano democratico (CCD). Il PSI, duramente colpito dalle inchieste per corruzione, conobbe un vero e proprio tracollo elettorale. Nel contempo il MSI, sotto la leadership di Gianfranco Fini, si trasformò in Alleanza nazionale (AN).