Prima guerra d’indipendenza

Prima guerra d'indipendenza

La Prima guerra d’Indipendenza 

(1848-49)

Italia 1843

La rivoluzione siciliana

1848In Italia i primi moti rivoluzionari ebbero luogo in Sicilia.

La rivoluzione siciliana, scoppiata a Palermo il 12 gennaio 1848 sotto la guida di Rosolino Pilo e Giuseppe La Masa, fu l’ultimo di quattro grandi moti che ebbero luogo in Sicilia tra il 1800 ed il 1848 contro i Borbone.

Essa portò alla creazione di uno Stato indipendente che durò circa 16 mesi, fino alla riconquista da parte dell’esercito borbonico di Ferdinando II. 

In seguito alla rivoluzione siciliana e ai moti scoppiati a Napoli, Ferdinando II di Borbone annunciò la concessione di una costituzione (29 gennaio), promulgata l’11 febbraio. 

Analoghi provvedimenti furono adottati da Leopoldo II di Toscana (17 febbraio), da Carlo Alberto re di Sardegna (Statuto Albertino del 4 marzo) e da papa Pio IX (Statuto del 14 marzo).

Il 1848 in Europa

Il 23 febbraio, intanto, scoppiava a Parigi la Rivoluzione francese del 1848 contro Luigi Filippo Borbone d’Orleans. All’inizio di marzo scoppiarono tumulti nella Germania sud-occidentale, in Ungheria e in Boemia. Il 13 marzo la rivoluzione a Vienna provocò la caduta di Metternich. 

Il Lombardo-Veneto

La notizia della caduta di Metternich provocò una serie di rivolte nell’Impero asburgico. Nel Lombardo-Veneto, Milano (Cinque giornate di Milano) e Venezia (Repubblica di San Marco) si ribellarono al governo austriaco. 

I precedenti

Già in gennaio la popolazione di Milano aveva deciso di attuare, come forma di ribellione passiva, uno “sciopero del fumo”. I Milanesi avevano deciso l’astensione dall’acquisto e dal consumo di tabacco, che era un monopolio di Stato, per colpire le finanze austriache. Il governo austriaco aveva reagito inviando nelle strade soldati e malviventi prezzolati a provocare i Milanesi, fumando ostentatamente vistosi sigari e soffiando il fumo sul volto dei passanti. Ne erano seguiti disordini, duramente repressi dalle truppe austriache.

A Venezia il 18 gennaio era stato ordinato l’arresto di numerosi patrioti, tra cui Daniele Manin e Nicolò Tommaseo, mentre nelle città universitarie di Pavia e Padova si moltiplicavano gli scontri tra gli studenti e militari austriaci.

La Repubblica di San Marco

La notizia delle insurrezioni di Vienna, che avevano portato alla destituzione di Metternich, ebbe così inevitabili conseguenze. 

A Venezia il popolo liberò dapprima Manin il 16 marzo. Cinque giorni dopo le forze militari austriache furono costrette alla resa e fu proclamata la Repubblica di San Marco, presieduta da Manin, avente come bandiera il tricolore italiano con all’angolo il leone alato della Serenissima.

Le cinque giornate di Milano

cinque giornateA Milano, il 18 marzo una grande manifestazione guidata da Gabrio Casati, chiese al governatore l’istituzione di un governo provvisorio, la creazione di una guardia civica, la liberazione dei detenuti politici, la concessione della libertà di stampa e la convocazione dei consigli comunali per nuove elezioni. In seguito alla dura reazione delle guardie croate, i manifestanti occuparono il palazzo del governatore e costrinsero il vicegovernatore O’Donnel a firmare dei decreti che consegnavano alla guardia civica il compito di mantenere l’ordine pubblico a Milano.

L’autorità degli Asburgo in città fu così rappresentata esclusivamente dal maresciallo Radetzky, che rifiutò di ricevere qualsiasi delegazione degli insorti e iniziarono le ostilità tra i reggimenti austriaci e le forze cittadine.

I Milanesi eressero barricate e saccheggiarono le armerie. Nel pomeriggio del 18 marzo le truppe austriache riuscirono a espugnare il palazzo del Broletto, sede dell’autorità comunale. Tuttavia Gabrio Casati e gli altri dirigenti rivoluzionari si erano già trasferiti altrove, mentre in ogni strada infuriavano i combattimenti. La guerriglia urbana proseguì nei giorni successivi ed un “comitato di guerra” si occupò di organizzare gli sforzi bellici degli insorti. Il 20 marzo le truppe austriache, abbandonato il centro cittadino si ritirarono tra le mura del Castello Sforzesco.

Il 21 marzo, la proposta di una tregua di quindici giorni avanzata da Radetzky fu respinta dalle autorità milanesi, per evitare che nel frattempo gli Austriaci potessero ricevere rinforzi da Verona. Inoltre, gli insorti conquistarono la caserma del Genio, procurandosi armi. Il 22 marzo, ultimo giorno di combattimenti, i Milanesi ruppero l’assedio che li divideva dagli insorti provenienti dai dintorni, nel combattimento di Porta Tosa. Vista la situazione critica, Radetzky la sera del 22 marzo ordinò alle truppe austriache di ritirarsi all’interno del Quadrilatero, il sistema difensivo formato quattro fortezze di Peschiera, Mantova, Verona e Legnago. 

L’intervento di Carlo Alberto

Tuttavia una parte degli insorti si convinse che la liberazione del Lombardo-Veneto poteva essere realizzata solo tramite una vera e propria campagna militare, realizzata grazie all’intervento del Regno di Sardegna di Carlo Alberto. Così, pur con non pochi contrasti al proprio interno (con l’opposizione netta di Carlo Cattaneo, che pure aveva dato un fondamentale contributo al successo delle cinque giornate) chiesero l’intervento piemontese.

La risposta di Carlo Alberto giunse il 23 marzo 1848: il re di Sardegna dichiarò guerra all’Impero asburgico, spinto dalla volontà di espandere i propri possedimenti e di evitare un’evoluzione dei moti popolari in senso repubblicano.

L’esercito sabaudo fu affiancato da battaglioni (per lo più di volontari) provenienti dagli altri Stati della penisola. Lo Stato pontificio inviò un contingente di 16.000 uomini comandati dal generale Durando, il Granducato di Toscana inviò 6.000 uomini, di cui 450 studenti volontari provenienti dalle Università di Pisa e di Siena, il Regno delle Due Sicilie inviò un corpo di 11.000 uomini comandati da Guglielmo Pepe. 

Le prime fasi della guerra

Le forze piemontesi avanzarono verso il fiume Mincio ed entro la fine di marzo si disposero in linea retta di fronte al lato occidentale del Quadrilatero. Tuttavia, le operazioni furono condotte con estrema lentezza, permettendo così a Radetzky di riorganizzare le proprie truppe e di ricevere rinforzi attraverso il Brennero.

Il primo scontro tra i due eserciti avvenne l’8 aprile a Goito, luogo di passaggio del Mincio e vide vittoriosi i Piemontesi. Il 30 aprile l’esercito sabaudo riuscì a sfondare la testa di ponte austriaca a Pastrengo. La vittoria militare fu tuttavia vanificata nei giorni seguenti da un attacco dimostrativo di Radetzky che riuscì a distogliere lo stato maggiore di Carlo Alberto dall’obiettivo di attraversare l’Adige.

Il ritiro degli alleati

Mentre le operazioni belliche proseguivano, la situazione diplomatica cambiò rapidamente. Il 29 aprile il pontefice Pio IX sconfessò l’invio del proprio contingente e diede occasione anche agli altri sovrani di ritirarsi dall’impresa. Benché una parte dei contingenti dei rispettivi Stati decidesse di restare sui campi di battaglia (è il caso dei napoletani di Pepe e degli studenti toscani) questa mossa indebolì fortemente il Regno di Sardegna e consentì all’Austria di preparare la controffensiva. 

La svolta a favore degli Austriaci

Sul piano militare gli sforzi profusi nella battaglia di Santa Lucia si rivelarono vani e l’iniziativa della campagna militare passò nelle mani degli Austriaci. Radetzky, ricevuti nel frattempo i rinforzi del generale Nugent, decise di attaccare il punto debole dello schieramento avversario per aggirare i Piemontesi da Sud e liberare Peschiera dall’assedio: le forze asburgiche si diressero verso i comuni di Curtatone e Montanara dove il 29 maggio affrontarono i corpi di volontari toscani e napoletani. Questi ultimi resistettero strenuamente alle truppe austriache e, benché alla fine costretti a ritirarsi, permisero ai Piemontesi di ritirarsi oltre il Mincio e di sconfiggere gli Austriaci a Goito. 

La battaglia di Custoza 

Con l’arrivo dei rinforzi attraverso il Veneto, le forze austriache eguagliavano quelle piemontesi, che tuttavia Radetzky riuscì a dividere in due nuclei. 

La battaglia decisiva fu combattuta tra il 22 e il 27 luglio 1848 a Custoza, dove le truppe del generale Radetzky ebbero la meglio sull’esercito di Carlo Alberto, che fu costretto a ritirarsi. Il 9 agosto fu firmato l’Armistizio Salasco (dal nome del generale piemontese che lo firmò), in base al quale gli Austriaci ripresero il controllo del Lombardo-veneto, mentre i Piemontesi si ritirarono oltre il Ticino.

Venezia resiste

Venezia, proclamatasi repubblica, ricevette la notizia della sconfitta piemontese ma rifiutò di capitolare rimanendo da sola ad affrontare gli Austriaci.

Daniele Manin prese il controllo della città assediata nominando un triunvirato del quale anch’egli faceva parte. A capo delle truppe fu nominato il generale napoletano Guglielmo Pepe.

La Repubblica romana

In Toscana, invece, Leopoldo II il 27 ottobre 1848 diede l’incarico di primo ministro al democratico Giuseppe Montanelli che inaugurò una politica volta all’unione con gli altri stati italiani e alla ripresa della guerra all’Austria. 

Il 15 novembre 1848 a Roma fu assassinato il ministro dell’Interno Pellegrino Rossi e la sera del 24 Pio IX fuggì verso la fortezza borbonica di Gaeta. Il 9 febbraio 1849 fu proclamata la Repubblica Romana, con a capo il triumvirato Mazzini, Armellini e Saffi, per la quale combatté strenuamente Giuseppe Garibaldi.

La ripresa della guerra

NovaraCarlo Alberto riprese nel marzo 1849 la guerra contro l’Austria. Il 20 marzo 1849 a mezzogiorno si riaprirono ufficialmente le ostilità.

Tuttavia, il 23 marzo 1849 l’esercito piemontese subì a Novara una sconfitta definitiva, che indusse Carlo Alberto ad abdicare a favore del figlio, il duca di Savoia, divenuto re Vittorio Emanuele II, che il 24 marzo trattò e firmò l’armistizio di Vignale, ratificato dalla Pace di Milano del 6 agosto 1849. 

La restaurazione

Le ripercussioni della sconfitta di Novara si estero a tutta l’Italia. Nelle giornate successive Radetzky sconfisse definitivamente anche i patrioti lombardi soffocando la ribellione di Brescia (23 marzo-1º aprile 1849).

In Toscana la restaurazione si compì spontaneamente poiché il partito moderato richiamò il granduca Leopoldo II. Ciò non impedì al 2º Corpo austriaco di D’Aspre di entrare nel Paese e imporre la restaurazione con la forza a Livorno. La città, che non aveva accettato la decisione presa dalla capitale Firenze, dovette soccombere dopo i due giorni di aspra lotta (10-11 maggio 1849). Leopoldo II tornò a Firenze solo il 28 giugno seguente.

Contemporaneamente, nel Regno delle Due Sicilie, il 15 maggio 1849 le truppe borboniche, dopo aver battuto l’esercito siciliano comandato dal polacco Ludwik Mierosławski, entrarono a Palermo. Il generale Filangieri, che aveva comandato le truppe borboniche, divenne governatore della Sicilia con la carica di luogotenente generale del re, governando l’isola fino al 1855.

Vittorio Emanuele II fu l’unico, tra i regnanti italiani, a rispettare lo statuto concesso e il Piemonte iniziò a diventare un luogo di rifugio e riferimento per i patrioti degli altri stati preunitari, mentre il movimento neoguelfo perdeva credibilità a seguito del voltafaccia di Pio IX.

La resa della Repubblica romana

Nel frattempo, molte città pontificie di Marche, Romagna ed Emilia avevano aderito alla Repubblica Romana. Tra queste, Ancona e Bologna. La Repubblica Romana dichiarò decaduto il potere temporale della Chiesa. Pio IX, dal suo esilio di Gaeta fece richiesta di intervento armato da parte degli Austriaci. 

Bologna e Ancona resistettero e furono sottoposte ad assedio. L’assedio di Bologna, iniziato l’8 maggio 1849 si concluse dopo una settimana, il 16 maggio, con la resa della città. L’assedio di Ancona iniziò il 25 maggio 1849, e dopo 26 giorni di strenua resistenza, la città fu costretta ad arrendersi il 21 giugno.

La Repubblica Romana resistette sotto il triunvirato di Aurelio Saffi, Carlo Armellini e Giuseppe Mazzini. Ad occuparsi della repressione, in questo caso, fu la Francia di Luigi Napoleone, che temeva l’espandersi dell’influenza austriaca in Italia e desiderava conquistarsi la fiducia dei cattolici del suo Paese. Fu così organizzata una spedizione per riportare al soglio pontificio Pio IX.

Il 24 aprile 1849 un corpo d’armata francese guidato dal generale Nicolas Charles Victor Oudinot sbarcò a Civitavecchia. Costui tentò l’assalto di Roma il 30 aprile, ma fu sconfitto da Garibaldi. Nel frattempo un corpo di spedizione del Regno delle Due Sicilie aveva invaso il Lazio meridionale, ma fu fermato e respinto da Garibaldi nelle battaglie di Palestrina (9 maggio) e di Velletri (19 maggio). 

La Francia inviò consistenti rinforzi e il 3 giugno Oudinot riprese le ostilità, con un attacco di sorpresa. Conquistata Villa Pamphili, i Francesi vi piazzarono la propria artiglieria e iniziarono a bombardare Roma. 

I combattimenti proseguirono fino al 1º luglio. Il giorno successivo la Repubblica Romana si arrese. 

Il 12 aprile 1850 Pio IX faceva ritorno nella capitale e abrogava la Costituzione concessa nel marzo di due anni prima.

Garibaldi, con un piccolo gruppo di volontari lasciò Roma poco prima della resa, tentando invano di raggiungere Venezia. Braccato dagli Austriaci, riuscì a raggiungere il territorio piemontese, dal quale fu però espulso. Iniziò così il suo secondo esilio.

La resa di Venezia

Venezia, intanto, resisteva, sotto la guida militare di Guglielmo Pepe, che aveva raccolto le modeste forze della Repubblica di San Marco e le aveva disposte per una difesa a oltranza.

Il 28 aprile iniziò l’assedio al forte di Marghera e il 4 maggio il suo bombardamento. La resistenza di Marghera durò 22 giorni, fino al 26 maggio 1849. Caduta Marghera, le altre posizioni italiane di terraferma divennero inutili e furono sgombrate. 

Il bombardamento di Venezia cominciò il 28 luglio. Ai difensori mancavano i viveri, che cercarono con grande difficoltà di procurarsi tramite scorrerie sulla terraferma. Intanto le notizie che giungevano dalle altre parti d’Italia abbatterono il morale dei difensori, colpiti anche da un’epidemia di colera.

Venezia continuò a resistere fino al 22 agosto 1849. Ormai la città era ridotta allo stremo e Daniele Manin fu costretto a firmare la resa. Due giorni dopo gli Austriaci entrarono a Venezia.

Gli storici concordano che la Primavera dei popoli fu un sanguinoso fallimento, se si eccettua la concessione dello Statuto Albertino nel Regno di Sardegna da parte di Carlo Alberto di Savoia, l’unica costituzione non revocata di quelle concesse o votate nel 1848-49. Il Piemonte divenne un punto di riferimento per molti patrioti e avrebbe giocato un ruolo essenziale nel processo di unificazione nazionale italiana.

 

 

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