La prima guida turistica di Faenza

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La prima guida turistica di Faenza

di Giuseppe Dalmonte

 

Quando nel 1882 il sacerdote Antonio Montanari decise di pubblicare la sua Guida Storica di Faenza colmando un grave ritardo nell’informazione storica artistica locale, dimenticò di indicare il contributo più rilevante che l’aveva preceduto già in età napoleonica, la Descrizione della città di Faenza, fatta al principio del giugno 1805, dal conte Francesco Ginnasi e conservata tra i manoscritti della Biblioteca Comunale.

Quelle scarne paginette descrittive confluirono  in gran parte, in forma anonima, nella più importante e moderna guida turistica della prima metà dell’Ottocento, l’Itinerario italiano che contiene la descrizione dei viaggi per le strade più frequentate alle principali città d’Italia, pubblicato prima a Firenze, poi dal 1808 a Milano dall’editore Vallardi, che lo ristampò ben 24 volte fino al 1852, a dimostrazione del successo  dell’opera.

Questo agile manualetto tascabile per viaggiatori in carrozza, curiosi sia di opere d’arte e antichità archeologiche sia di sorgenti curative e peculiarità naturalistiche, presenta ben 52 itinerari lungo la penisola italiana, illustrati da carte geografiche disegnate, con tavole delle misure di viaggio in miglia ed ore, con sintetiche valutazioni sulla qualità delle strade, delle stazioni di posta per il cambio dei cavalli nonché l’indicazione delle locande e degli alberghi presenti nelle varie località.

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Fra i numerosi itinerari illustrati solo tre interessano la descrizione delle principali città della Romagna. Il primo descrive il viaggio da Bologna a Fano, lungo la via Emilia fino a Rimini poi sulla Flaminia, per un percorso di 92 miglia e una durata del viaggio di ben 18 ore e 45 minuti scanditi da 11 cambi di posta e dei cavalli.

Il secondo itinerario invece si snoda da Venezia a Rimini lungo la costa adriatica con un percorso di 122 miglia italiane e una durata di oltre 23 ore, con un viaggio svolto parte in barca nel territorio veneto e lungo il delta del Po e parte in carrozza lungo la costa ferrarese e romagnola, con una sosta a Ravenna, il centro di maggior interesse per il forestiero attratto dai marmi antichi e dai mosaici delle antiche basiliche bizantine, dal mausoleo di Teodorico e dal recente monumento all’esule poeta fiorentino da poco riabilitato; oltre la superba pineta di ben 12 miglia, delimitata da vaste aree paludose che rendono suggestivo il percorso pur con qualche rallentamento.

Infine il terzo itinerario ripropone invece il percorso di ritorno da Ravenna a Venezia della lunghezza di 90 miglia e della durata di 14 ore e 30 minuti, con 11 cambi di posta.

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Il viaggiatore, italiano o straniero, che si avventurava per la penisola prima dell’avvento della ferrovia dedicava abitualmente alle città romagnole uno sguardo frettoloso e fugace, avendo spesso come meta principale le attrattive di Firenze, di Roma, di Napoli o Palermo, al ritorno invece era preso dal fascino godereccio di Venezia, o dal fervore operoso di Genova o del capoluogo lombardo.

Nei resoconti di viaggio dei frequentatori del gran tour, le città di Ravenna e di Rimini primeggiano sugli altri centri romagnoli per la presenza significativa di tracce della classicità o di memorie antiche, come pure frequente è nei diari il fascino della antica e minuscola Repubblica di S. Marino.

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Sfogliando le pagine de L’Itinerario italiano del 1805, o le edizioni successive, scopriamo che Faenza, fra le città dell’itinerario romagnolo, ha conquistato maggior spazio e rilievo rispetto agli anni precedenti fino a competere nelle attrattive e curiosità con le più illustri, grazie al contributo autorevole e determinante del conte Francesco Ginnasi, già presidente del dipartimento del Lamone al tempo della Repubblica Cisalpina, poi prefetto del Ginnasio Comunale negli ultimi anni del Regno Italico.

I collaboratori de L’Itinerario italiano dedicano appena dodici righe di notizie alla città di Imola, e due mezze paginette della guida tascabile alle città di Forlì e di Cesena, invece il nostro “egregio cultore di amene e utili discipline”, come lo definisce il viceprefetto di Faenza Dionigi Strocchi, si dilunga sulla descrizione della città del Lamone per ben due pagine della guida offrendo una panoramica complessiva di Faenza particolarmente efficace ed accattivante, con riferimenti puntuali sulla popolazione, composta di 15 mila abitanti in città e 2 mila nel Borgo, e sulle attività economiche più rilevanti.

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‹‹Tra gli Opifici di Faenza la fabbrica dei vasselami di majolica del cittadino Gaspero Ferniani merita una speciale attenzione pel credito che ha questa manifattura anche presso gli Oltremontani, che la conoscono sotto il nome francese di Fayence, e per la perfezione a cui è stata condotta ultimamente. Sono da osservarsi inoltre il Filatojo pel suo meccanismo, che dà un prodotto giornaliero di libbre 100 di seta lavorata, e la Cartiera del cittadino Vincenzo Bertoni, distante 3 miglia dalla Città, ove s’imita la carta d’Olanda ››.

Le campagne faentine invece producono in buona quantità grano, canapa, vino e lino, produzioni lodate fin dall’antichità classica. Il territorio circostante offre acque termali a S. Cristoforo e altre sorgenti di acque salate, sono pure presenti vene di zolfo e resti di miniere di ferro e di rame, mentre le erbe palustri crescono in abbondanza lungo i corsi fluviali.

La città del Lamone viene presentata ai viaggiatori curiosi come la “Firenze della Romagna” per la ricchezza di opere d’arte presenti sia nelle numerose chiese sia nelle varie dimore signorili nonché nella Galleria sorta da poco presso il Liceo dipartimentale del Rubicone. Il cuore della città è costituto dalla pubblica piazza ornata di loggiati a doppio ordine, che danno l’aspetto di un anfiteatro, sul quale si affacciano da una parte il Duomo, la Fontana pubblica, la Torre dell’orologio, e dall’altra il Palazzo Pubblico e il nuovo Teatro.

Infine, dopo un sommario elenco di opere d’arte degne di osservazione da parte dei “dilettanti di pittura”, l’estensore delle note si sofferma sui pubblici stabilimenti dedicati  sia agli esposti o bambini abbandonati sia ai ragazzi e alle ragazze orfane, che ‹‹fanno ogni sorta di telame, e vi filano a mano il cotone d’una finezza sorprendente››, da ultimo decanta i pregi del nuovo e vasto Ospedale per gl’infermi e i malati di mente, tanto che ‹‹sono meravigliose le guarigioni de’mentecatti, per cui accorrono anche molti Forastieri d’esteri Paesi a porvi quelli di lor famiglie caduti in tale disgrazia col pagarvi dozzena, e molta loro soddisfazione››.

Giuseppe Dalmonte

(Pubblicato su “In Piazza”, settembre  2010)

 

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