Rivoluzione Francese: la crisi dell’Antico regime

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La crisi dell’Antico regime

Rivoluzione Francese

 
Alla fine del XVII secolo il paese non si riconosceva più in quello che in seguito sarà chiamato “antico regime”.

 

 

La società francese

Nel 1789 la Francia contava circa 26 milioni di abitanti, suddivisi in tre categorie sociali (ordini), Nobiltà, Clero e Terzo Stato.

La Nobiltà era costituita da meno di 400000 persone e si suddivideva in alta nobiltà (circa 4000 famiglie) e piccola nobiltà. La piccola nobiltà era composta da gentiluomini di provincia, spesso non particolarmente benestanti, e la nobiltà di toga, che aveva acquistato il proprio titolo nobiliare e che era disprezzata dalla tradizionale nobiltà di spada. In origine la nobiltà aveva il compito di difendere il paese con le armi, ma i nobili erano ormai divenuti mediocri signori della guerra e si erano ridotti ad essere una classe parassitaria.

I privilegi della nobiltà erano cospicui. I nobili possedevano immensi patrimoni fondiari (il 20-25 per cento della terra) e godevano di molte agevolazioni fiscali. Inoltre, nei loro domini continuavano a riscuotere piccole tasse e pedaggi e a esercitare le funzioni di giudice. Ai nobili erano poi riservati i gradi maggio­ri dell’esercito e le massime cariche dello Stato.

Il Clero era costituito da circa 120000 membri (di cui 139 vescovi) ed era suddiviso in alto clero e basso clero. Mentre il primo godeva di grandi privilegi, quest’ultimo viveva in condizioni misere e spesso era molto vicino alle rivendicazioni del Terzo stato. Il Clero tradizionalmente aveva il compito di pregare e predicare, ma molti alti prelati erano ormai molto lontani dalle preghiere, mentre erano attaccati alle loro ricchezze e ai beni mondani.

I conventi e i vescovadi avevano grandissime proprietà terriere (fra il 6 e il 10 per cento del totale) ed erano esenti dal pagamento delle tasse. Se commettevano reati i membri del clero non venivano giudi­cati dai tribunali ordinari da un tribunale ecclesiastico, per essere giudicati secondo il diritto canonico. Il clero gestiva tutte le scuole, i collegi e le università e quindi controllava l’istruzione, tanto quella popolare che quella dell’aristocrazia.

Il Terzo stato rappresentava la stragrande maggioranza della popolazione, circa il 98%, che lavorava e pagava le tasse, mantenendo anche i due ordini privilegiati. Di esso facevano parte i lavoratori agricoli, i contadini proprietari, gli artigiani e i borghesi (banchieri, commercianti, avvocati, artigiani). La borghesia era in netta crescita, grazie allo sviluppo economico del decennio precedente e aveva acquisito un peso crescente nella vita economica del Regno.

Al gradino più basso si trovavano i lavoratori della terra, 20 milioni di persone. Tra di essi vi erano piccoli proprietari o contadini benestanti, mezzadri, piccoli affittuari, contadini poveri che lavoravano come brac­cianti. Tutti erano sottoposti alle giurisdizioni feudali, pa­gavano le tasse ai feudatari e le decime agli eccle­siastici, talvolta erano ancora costretti a effettuare le corvées.

 

I privilegi

rivoluzione franceseI primi due ordini beneficiavano di ampi privilegi, ormai considerati ingiusti non solo dal popolo, ma anche da una parte degli aristocratici e degli ecclesiastici. Si erano infatti diffuse largamente le idee di uguaglianza e le critiche alle ingiustizie degli scrittori illuministi. Nelle logge massoniche, nelle accademie letterarie, nelle società scientifiche, nelle redazioni dei giornali crescevano le voci di opposizione al regime dei privilegi.

La miriade di esenzioni fiscali, le tasse di banalità, i pedaggi, i monopoli e in generale tutte le tasse e tutti i privilegi e le disuguaglianze crearono un forte malcontento tra i contadini e la borghesia. Il Clero non era solo un ordine estremamente ricco, che non pagava tasse, ma riscuoteva anche le decime sui prodotti della terra. Inoltre, la Chiesa era divenuta molto ricca, per le donazioni fatte dai fedeli, e molto spesso una parte del clero considerava la proprietà ecclesiastica come un bene personale.

L’onere delle tasse gravava sul terzo stato, poiché nobiltà e clero ne erano esenti, e variava secondo i luoghi e le regioni. La tassa principale, la taille, pesava soprattutto sui contadini, mentre la capitazione riguardava tutti i cittadini ordinari. Le numerose imposte indirette gravavano sui generi di consumo, come la gabella sul sale e i dazi. Il carico fiscale era molto oppressivo per la popolazione, a eccezione dei nobili e del clero che ne erano esenti.

 

L’assolutismo

In linea di principio il potere assoluto (da absolutus ovvero sciolto da) del re era senza limiti. Nel sistema feudale il re era al tempo stesso capo militare, amministratore della giustizia e protettore. Egli nominava e revocava i suoi ministri, il guardasigilli, il controllore generale delle finanze e il segretario di Stato. Tutti i poteri erano dunque, teoricamente, concentrati nelle mani di Luigi XVI.

Ciononostante l’amministrazione e l’organizzazione del potere erano estremamente complicate da tutta una serie di particolarità specifiche di ciascuna provincia, di ciascuna città e di ciascun tribunale locale. Questi particolarismi erano il retaggio di antichi privilegi concessi dai sovrani.

Nella complessità di questa amministrazione dello Stato, l’ingiustizia e l’inefficienza regnavano e permettevano ai nobili e al clero di ottenere l’esenzione dalle imposte, sovvenzioni e privilegi.

 

La crisi finanziaria

La Francia aveva accumulato un debito nazionale gigantesco: le uscite superavano le entrate di 126 milioni di franchi e i soli interessi sul debito erano pari a circa due terzi delle entrate del regno. Esso era dovuto fondamentalmente a quattro ragioni: le spese militari per la partecipazione a diversi conflitti, come la guerra d’indipendenza americana; le elevate spese della corte regia; il sistema di tassazione iniquo; il ricorso all’appalto della riscossione delle imposte.

La partecipazione della Francia alla guerra di indipendenza degli Stati Uniti d’America ebbe un ruolo rilevante nella crisi del debito pubblico. Dal 1777 con La Fayette e i suoi volontari, poi dal 1779 con Rochambeau che guidava un corpo di spedizione reale, la Francia aveva combattuto a fianco delle colonie americane contro l’Inghilterra. La guerra d’indipendenza americana si concluse nel 1781 con la vittoria di Yorktown a favore dei franco-americani. Il massiccio intervento francese con 50000 uomini non era disinteressato. Nelle intenzioni di Luigi XVI la guerra mirava a indebolire la potenza inglese. L’Inghilterra fu costretta a firmare la pace di Versailles nel 1783, con cui gli Stati Uniti divennero indipendenti. La Francia recuperò il Senegal, St. Pierre e Miquelon, St. Lucia e Tobago. Tuttavia, il costo delle operazioni militari per la Francia raggiunse i 2 miliardi di sterline, che contribuirono a determinare la rovina delle finanze del regno.

Una seconda fonte di indebitamento dello Stato era costituito dalle enormi spese della corte regia (circa 36 milioni in feste e pensioni per i cortigiani). Le spese della corte di Versailles erano più del doppio di quelle per lavori pubblici. Inoltre, il malcontento popolare era alimentato dall’impopolarità della regina Maria Antonietta, considerata con diffidenza in quanto austriaca e oggetto di dicerie.

Un terzo fattore era costituito dal sistema di tassazione vigente profondamente iniquo, che esentava le classi privilegiate (nobiltà e clero) dal pagare le tasse mentre gravava pesantemente sul terzo stato. La situazione era gravissima, perché i nobili e il clero erano esentati dalle tasse e le imposte versate da contadini e borghesi bastavano a malapena a pagare gli interessi sui prestiti ricevuti.

Infine, la riscossione delle tasse si basava in parte sul sistema dell’appalto delle imposte, molto redditizio per gli appaltatori, che realizzavano enormi profitti, ma inefficiente e oneroso per lo Stato. Le imposte indirette (dazi e gabelle) erano affidate in appalto a un’istituzione chiamata Ferme générale (appalto generale), controllata da finanzieri francesi e svizzeri. Questo sistema di riscossione faceva disperdere nelle mani degli appal­tatori una gran parte delle imposte. La corruzione regnava comunque anche negli uffici statali che ri­scuotevano la taglia, la più antica imposta fondia­ria, e le altre imposte dirette.

 

I tentativi di riforma

rivoluzione franceseGli anni che precedettero la rivoluzione furono caratterizzati da una situazione di crisi e di aspri conflitti sociali, dovuti in primo luogo alla debolezza dello Stato e in particolare alla sua organizzazione fiscale iniqua, che l’opinione pubblica mal sopportava.

Il re intendeva riformare lo Stato nella direzione di un rafforzamento dell’assolutismo a scapito dei privilegi nobiliari. Ma la monarchia si mostrò incapace di riformare il sistema: il re Luigi XVI, salito al trono nel 1774, non riuscì a mettere in atto le riforme necessarie, per incapacità personale e per la resistenza dei ceti privilegiati (nobiltà e clero), perciò crebbe nell’opinione pubblica l’avversione per il regime assolutistico e per l’Ancien Régime basato sugli ordini.

Nel cor­so del Settecento i vari tentativi di riforma volti ad abolire i privilegi fiscali del clero e della nobiltà erano falliti. Quando Luigi XVI divenne re, uno dei suoi primi atti fu costituito dal licenziamento del ministro delle finanze Turgot (1774-1776), inviso ai ceti privilegiati per i suoi propositi riformatori. Un nuovo tentativo di riforma amministrativa e fi­scale fu attuato fra il 1777 e il 1781 dal banchiere ginevrino Jacques Nec­ker, controllore generale delle finanze, i cui propositi non poterono essere realizzati per l’opposizione dell’alta nobiltà, della corte e dei parlamenti, tanto che fu costretto a dimettersi.

Per evitare la bancarotta dello Stato, il nuovo controllore generale delle finanze Charles-Alexandre de Calonne  (1783-1787) tentò di imporre una tassa sulle proprietà terriere ma il Parlamento di Parigi, roccaforte dei nobili, si oppose, così anch’egli dovette rinunciare. Anche il suo successore, l’arcivescovo di Tolosa Etienne-Charles Loménie de Brienne, propose una nuova imposta fondiaria, ma i notabili riuniti a Versailles rifiutarono l’imposta e chiesero la convocazione dell’Assemblea degli Stati Generali, come unico organo competente a stabilire nuove forme di tassazione.

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