Un popolo di atleti e di soldati. Fascismo sport tempo libero

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Un popolo di atleti e di soldati. Fascismo sport tempo libero

 

Sport e fascismo                                                          

L’interesse dello Stato per l’educazione dei giovani mediante attività sportive finalizzate alla preparazione militare risale alla seconda metà del XIX secolo e si accentua con la Prima guerra mondiale. Esso tuttavia diventa un aspetto centrale della politica dei regimi totalitari, che fecero dello sport un importante mezzo di propaganda per il controllo sociale sul piano interno e per affermare il proprio prestigio e la propria volontà di potenza sul piano internazionale. Il fascismo rielaborò la politica educativa dei precedenti governi liberali e attribuì allo sport un ruolo centrale, poiché esso rispondeva alle esigenze del regime.

L’attività sportiva era infatti:

  • un fondamentale mezzo di propaganda politica
  • uno strumento per forgiare una nuova “razza guerriera
  • un mezzo adatto allo svago e al miglioramento estetico.

L’educazione della collettività e la disciplinata subordinazione degli individui allo Stato era centrale nel pensiero di Mussolini. Le discipline sportive erano funzionali alla creazione dell’uomo nuovo fascista e alla costruzione dello spirito di gruppo. Inoltre, per il fascismo lo sport agonistico costituiva uno strumento essenziale per addestrare adeguatamente gli italiani alla guerra.

Scriveva Mussolini in un articolo dal titolo Lo sport e l’esercito del tempo fascista, comparso su Lo sport fascista:

“L’educazione fisica ha preso oggi un posto preminente nell’addestramento del soldato per elevarne al maggior livello possibile le doti di resistenza, di scatto, di ardimento, di tenacia e di volontà che le nuove esigenze della guerra moderna e l’impiego delle nuove armi richiedono al combattente.” (in Daniele Serapiglia (ed.), Tempolibero, sport e fascismo. BraDypUS. Bologna 2016.)

Gli sport di squadra (come il calcio, il rugby e la pallacanestro) erano considerati i più adatti al raggiungimento di questi obiettivi, perciò essi furono favoriti a scapito di altri, come il ciclismo, visto come sport individualista. La collaborazione in campo, i ruoli ben definiti, il rispetto delle gerarchie (capitano e allenatore) e del regolamento rendevano questi sport adatti ad educare alla vita del regime.

Il controllo del tempo libero.

Per i regimi totalitari fu importante anche l’organizzazione del tempo libero. Uno degli strumenti più importanti per coinvolgere la popolazione e plasmarne il pensiero fu la creazione di organizzazioni di massa. Per questo il fascismo investì notevoli risorse nella creazione di organizzazioni sportive e del tempo libero.

Nel decennio successivo alla presa del potere, il regime riordinò le istituzioni sportive lungo tre direttrici:

  • la fondazione di organizzazioni di massa che dovevano gestire le attività ginnico-sportive e del tempo libero (come l’Opera nazionale balilla e l’Opera nazionale dopolavoro);
  • la soppressione dell’associazionismo sportivo socialista e il ridimensionamento di quello cattolico;
  • la riorganizzazione del CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), sottoposto a stretto controllo politico.

Relativamente a quest’ultimo, fu avviata un’opera di fascistizzazione, con l’elezione alla sua presidenza di Lando Ferretti, intensificata dal «Foglio d’ordini» n. 16 del 4 dicembre 1926, con cui il segretario del Partito nazionale fascista (PNF), Augusto Turati, dispose che il CONI fosse considerato come un “organo alle dipendenze del Partito”. Inoltre, nel 1927 fu promulgato un nuovo statuto che ne completò l’uniformazione ai principi del regime.

Nel 1925 il fascismo istituì per i lavoratori l’Opera Nazionale Dopolavoro (OND) che aveva il compito di curare: “l’elevazione morale e fisica del popolo, attraverso lo sport, l’escursionismo, il turismo, l’educazione artistica, la cultura popolare, l’assistenza sociale, igienica, sanitaria, e il perfezionamento professionale”. 

L’Opera Nazionale Dopolavoro aveva il compito di fornire ai lavoratori momenti di svago organizzati dallo Stato. In tal modo i lavoratori sarebbero stati occupati in attività ricreative che li avrebbero distolti dall’ozio e soprattutto dal pericolo di occuparsi di politica, magari subendo l’influenza di qualche “sovversivo”.

Nel 1928 la Carta dello sport distinse tra sport agonistici, di spettanza del CONI, e di sport amatoriali di cui doveva occuparsi Opera nazionale dopolavoro. Al CONI era delegata la gestione degli sport agonistici: atletica leggera e pesante, ginnastica, ciclismo, canottaggio, pugilato, nuoto, calcio, tennis, rugby, sport invernali, pallacanestro, tiro a segno, lotta giapponese. All’OND era demandata, invece, la gestione di: bocce, tamburello, tiro alla fune, volata, canottaggio a sedile fisso e palla a volo.

L’educazione fisica

L’educazione fisica, alla quale furono dedicate due ore settimanali di insegnamento, era considerata una disciplina importante e gli insegnanti di ginnastica iniziarono a far parte del Consiglio dei professori.

L’Opera Nazionale Balilla, fondata nel 1926, provvide all’insegnamento dell’educazione fisica nelle scuole elementari e medie, sostituendo l’ENEF (Ente Nazionale Educazione Fisica).

Allo scopo di formare insegnanti preparati, fu creata l’Accademia fascista maschile di educazione fisica, inoltre lo Stato provvide alla costruzione di numerose nuove palestre.

Sport e propaganda

Durante il Ventennio il fascismo si avvalse dei mezzi di comunicazione (radio, stampa, cinegiornali) e delle organizzazioni di massa (ONB, GIL, OND) per veicolare lo sport tra la popolazione. I Balilla e gli Avanguardisti erano impegnati in molti raduni collettivi, in cui confluivano giovani da tutta Italia, conclusi dal discorso finale in genere tenuto dal duce o da un alto dirigente del PNF.

Nel 1929 fu istituito il “Concorso Dux”, una manifestazione di saggi ginnici, che ogni anno si svolgeva a Roma nei “Campi Dux”, al quale partecipavano i migliori avanguardisti. 

Il fascismo si servì inoltre delle vittorie italiane in campo sportivo per rafforzare lo spirito nazionalistico. Alcuni dei maggiori campioni utilizzati a scopi propagandistici dal regime furono il pugile Primo Carnera, campione dei pesi massimi nel 1933, i ciclisti Binda e Guerra, i calciatori Meazza e Piola, i campioni automobilistici Nuvolari e Ascari. Lo sport, accanto alle imprese aeree come quelle di Italo Balbo, proponeva all’estero un’immagine dinamica, giovane e finalmente virile e moderna dell’Italia.

Le donne e lo sport

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L’attività sportiva fu rivolta anche alle donne, ma per loro l’obiettivo principale era quello di creare organismi sani, pronti donare al paese una prole numerosa. Erano perciò riservate a loro, oltre a specifiche esercitazioni ginniche, sport ritenuti “minori”, come la pallavolo o il tamburello. Inoltre, l’educazione fisica delle ragazze creò forti tensioni con la Chiesa Cattolica, che non vedeva di buon occhio le pubbliche sfilate di centinaia di giovani in succinte tenute sportive.

 

Le discipline sportive

Il regime vide con particolare favore gli sport di squadra, che insegnavano il rispetto della disciplina e che erano funzionali a un addestramento di tipo militare. Tra questi, il tiro a segno, la ginnastica, la scherma l’atletica leggera e l’atletica pesante, il rugby e il canottaggio. Un ruolo importante occupavano inoltre attività sportive come l’automobilismo e il motociclismo. Il regime seppe poi abilmente sfruttare a fini propagandistici anche altre discipline sportive, come il calcio e il ciclismo, che riscuotevano largamente il favore degli italiani.

Il ciclismo

fascismoIl Giro d’Italia si correva già dal 1909 e aveva via via guadagnato sempre più consensi. Il ciclismo non era tra gli sport preferiti, perché la bicicletta era giudicata poco moderna e appartenente al passato. Il ciclismo, inoltre, non era uno sport di squadra e, fondamentalmente individualista, non preparava i giovani a una disciplina militare. Il pubblico che si accalcava per assistere alle gare in bicicletta non poteva essere manovrato e organizzato come dentro gli stadi. Infine, nel mondo del ciclismo il fascismo non aveva fatto particolarmente breccia e non pochi erano gli antifascisti. Tuttavia il fascismo comprese che il ciclismo era amato dagli Italiani, così, anche le gare ciclistiche di rilievo nazionale divennero momenti importanti, da sfruttare sul piano organizzativo e della propaganda. Tra i ciclisti di fama del periodo si possono annoverare Costante Girardengo, Alfredo Binda e successivamente Gino Bartali e Fausto Coppi.

Il calcio

Il football (termine che fin dal 1907 era stato italianizzato in calcio) era praticato in Italia già dalla fine dell’Ottocento, importato dall’Inghilterra. Esso era considerato uno sport troppo britannico, che non piaceva al duce. Così, a metà degli anni ’20 il segretario del PNF Augusto Turati inventò la volata, un nuovo sport “puramente italico“, che però non ebbe alcun successo.

fascismoIl crescente interesse popolare per il calcio, convinse Mussolini a sfruttarne le potenzialità, per sviluppare il senso di identità nazionale e per accrescere il consenso nei confronti del regime. La nazionale italiana negli anni Trenta riscosse infatti una serie di grandi successi, tra cui le vittorie nei due mondiali del 1934 e del 1938 e la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936.

Tra i calciatori ebbero grande notorietà Giuseppe Meazza e Silvio Piola. Giuseppe Meazza  esordì con l’Inter in prima squadra all’età di 17 anni, tanto che i compagni lo ribattezzarono “Balilla”, anche per il suo fisico gracile. Silvio Piola, dopo aver esordito nella Pro Vercelli, giocò per molti anni nella Lazio. Entrambi contribuirono anche, in modo determinante, ai successi della Nazionale.

Il pugilato e la scherma

fascismoL’interesse per il pugilato fu legato, in particolare, alla figura e alle vittorie di Primo Carnera, che suscitarono un’ondata di entusiasmo nazionale. Pugile dal fisico imponente, nel 1933 Carnera sfidò a New York il campione del mondo Jack Sharkey, conquistando il titolo di campione dei pesi massimi. Mussolini lo volle subito dopo a Roma, mostrandolo dal balcone di Piazza Venezia in camicia nera e il Minculpop diramò direttive che imponevano di non mostrare foto del campione al tappeto. Tuttavia, Carnera perse il titolo l’anno successivo in un match contro l’americano Max Baer, un pugile ebreo.

La scherma era uno sport poco popolare e quasi nobile, che però affascinava Mussolini, che vi si dedicava. Gli atleti italiani di scherma riscossero molti successi durante il Ventennio. Il fioretto maschile individuale portò all’Italia l’oro e il bronzo sia nel 1932 che nel 1936, mentre in quello a squadre arrivarono rispettivamente un argento e un oro. Similmente andò nella spada, con il record del 1936 in cui tutto il podio maschile fu occupato da atleti italiani.

L’automobilismo

fascismoDa un lato il regime esaltava le famiglie numerose che vivevano nelle campagne e la vita rurale. Tuttavia il fascismo, che aveva assorbito al suo interno non pochi esponenti del futurismo, era attratto anche dal mito della modernità e del progresso, di cui l’automobile era una delle espressioni.

Nel 1922 fu costruito il circuito di Monza, il terzo autodromo più antico del mondo, dopo quelli di Brooklands e di Indianapolis. Inoltre Alfa Romeo e Maserati dominavano i vari Gran Premi con le loro vetture. La corsa di maggior successo durante l’epoca fascista fu la Mille Miglia, la cui prima edizione si disputò nel 1927 e che per tutti gli anni ’30 attirò piloti e soprattutto spettatori.

Il campione più memorabile di quell’epoca fu sicuramente Tazio Nuvolari, che aveva iniziato a correre in motocicletta, passando poi alle automobili. Alla fine degli anni ’20 e nel decennio successivo vinse moltissime gare con le Alfa Romeo, acquisendo fama leggendaria. Tra le sue vittorie più memorabili vi furono le Mille Miglia del 1930 e del 1933, il Gran Premio di Tripoli del 1928 e la 24 Ore di Le Mans del 1933.

Le strutture sportive

Il regime fece costruire molti campi sportivi, di piccole e grandi dimensioni, adattati ai nuovi riti e alle coreografie del regime, in cui gli spettatori erano organizzati per livelli gerarchici, per settori e per generazioni.

All’inizio degli anni Trenta furono fatti costruire grandi stadi, nella periferia delle grandi città, come lo stadio Berta a Firenze e lo stadio Mussolini a Torino. Erano strutture moderne, costruite con tecniche all’avanguardia, con lo stile architettonico tipico del Razionalismo italiano e furono fonte di ispirazione all’estero. Influenzarono, tra l’altro, la costruzione dello stadio di Berlino dei giochi olimpici e degli stadi-velodromi di Marsiglia e Bordeaux.

Nel 1933 a Torino fu inaugurato lo Stadio Mussolini, per ospitare i “Giochi Littoriali” dell’anno XI. Eretto in soli 180 giorni, esso diventò “simbolo della potenza costruttiva delle genti fasciste” (Lo stadio Mussolini, Lo sport Fascista, 1933, n. 5). La “Torre di Maratona” doveva ospitare la dicitura “Stadio Mussolini” a grandi lettere, disposte verticalmente ed illuminate di notte: internamente era percorsa da un ascensore, e alla sua sommità erano installati degli altoparlanti. Aveva una capacità di 65 000 posti e misurava 100×198 m. Comprendeva un campo da calcio, una pista per l’atletica a 6 corsie, due pedane per il salto in lungo, quattro pedane per il salto in alto. Era dotato inoltre di una piscina coperta, capace di 800 persone, con una vasca lunga 33 metri e larga 18, dotata di trampolini da 2,5 e 10 metri (https://it.wikipedia.org/wiki/Sport_e_fascismo#Stadio_Mussolini ).

Il duce sportivo

fascismoAugusto Turati, segretario del PNF, era automobilista, alpinista, calciatore e schermitore. Italo Balbo, sottosegretario all’Aeronautica, era un grande aviatore. Renato Ricci, vice segretario del PNF e comandante generale delle legioni degli Avanguardisti e dei Balilla, era pilota di idrovolanti e pugile. Giovanni Giuriati, maggiore degli Arditi, era calciatore.

Ma chi, meglio del Duce, poteva rappresentare il nuovo modello di uomo nuovo fascista? In particolare dalla fine degli anni ’20 in poi la propaganda cominciò a pubblicizzare un Mussolini fisicamente dotato, atletico e prestante. Non c’era occasione in cui non lo si fotografasse (salvo censurare le foto mal riuscite): a torso nudo, a lavorare, a correre o a giocare, mettendo in evidenza tutta la sua maschia virilità. Lo si vedeva raccogliere il grano, nuotare, sciare, tirare di scherma, praticare l’equitazione e il tennis, giocare a calcio, guidare un’automobile da corsa o un aereo.

Bibliografia

E. Landoni, “Gli atleti del Duce, la politica sportiva del fascismo, 1919-1939”, Minimes Edizioni, Sesto San Giovanni, 2016.

F. Fabrizio, Sport e fascismo. La politica sportiva del regime 1924 -1936, Guaraldi, 1976

S. Martin, Calcio e fascismo. Lo sport nazionale sotto Mussolini, Mondadori, Milano 2006

M. Canella – S. Giuntini (a cura di), Sport e fascismo, Franco Angeli, Milano 2009

Daniele Serapiglia (ed.), Tempolibero, sport e fascismo. BraDypUS. Bologna 2016

https://www.amazon.it/ 

Risorse on line

  1. http://www.novecento.org/dossier/mediterraneo-contemporaneo/calcio-e-moschetto-la-costruzione-dello-sport-nazionale-sotto-il-fascismo/ 
  2. https://it.wikipedia.org/wiki/Sport_e_fascismo

 

 

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