Russia: da Stalingrado a Kursk
Seconda guerra mondiale
L’offensiva tedesca nella Russia meridionale
Sul fronte russo il 1942 iniziò con una serie di offensive sovietiche invernali ordinate da Stalin. Dopo la vittoriosa battaglia di Mosca l’Armata Rossa proseguì la sua avanzata, a costo di terribili perdite. I tedeschi si trovarono spesso in drammatica difficoltà, ma non crollarono: difesero tenacemente i loro capisaldi di Ržev e Vjaz’ma sulla via di Mosca e le due sacche di Demjansk e Cholm, rifornite per via aerea, resistettero fino a primavera quando poterono giungere rinforzi.
Nonostante l’opposizione di alcuni generali, Hitler impose la progettazione di una nuova offensiva nel settore meridionale, allo scopo di conquistare il bacino del Donbass, la regione del Volga, i campi petroliferi del Caucaso, ritenuti essenziali per fronteggiare una lunga guerra contro le potenze occidentali.
Il 28 giugno 1942 la Wehrmacht ricominciò l’offensiva (operazione Blu), puntando verso sud-est. Dopo alcune rilevanti vittorie, come la conquista di Sebastopoli e la battaglia di Char’kov, ebbe inizio la spinta in direzione del Don, del Volga e del Caucaso. La Wehrmacht per alcuni mesi sembrò di nuovo vicina alla vittoria: l’Armata Rossa fu messa in rotta mentre i tedeschi rioccuparono Rostov il 23 luglio aprendosi la via per il Caucaso.
Hitler, convinto che il crollo sovietico fosse imminente, impose di accelerare i tempi lanciando un’avanzata contemporanea sia verso il Volga e Stalingrado, sia verso il Caucaso e i pozzi di petrolio di Groznyj e Baku.
Stalingrado
Il 17 luglio 1942 i tedeschi diedero inizio al loro assalto a Stalingrado, grande città industriale che si estendeva per circa 50 chilometri lungo le rive del Volga, di fondamentale importanza strategico-economica per l’URSS. La sua perdita avrebbe compromesso i collegamenti tra le sue risorse produttive e militari e i bacini petroliferi del Caucaso. La sua importanza era anche simbolica, perché era, appunto, la città (grad) di Stalin, il dittatore sovietico.
Alla fine di luglio, di fronte alle difficoltà incontrate dalla VI Armata del generale Friedrich Paulus, gran parte della IV armata del generale Hermann Hoth venne diretta verso Stalingrado, dove le due armate si congiunsero. Il 23 agosto i tedeschi penetrarono nella periferia settentrionale della città mentre la Luftwaffe la colpiva con pesanti bombardamenti.
La 62ª Armata sovietica del generale Vasilij Ivanovič Čujkov fu spinta dentro la città, che divenne teatro di feroci combattimenti: strade, isolati e singoli edifici furono contesi dalle forze nemiche e passarono più volte di mano. Gran parte della città fu ridotta in macerie.
Il momento più critico per i sovietici vi fu a metà di ottobre, quando l’area da loro difesa attorno al fiume Volga fu così ristretta che le poche traversate di rifornimento sul fiume finirono sotto il fuoco nemico.
I tedeschi, tuttavia, erano sempre più scoraggiati dalle pesanti perdite, dalla fatica, dall’avvicinarsi dell’inverno e dalla strenua difesa delle forze sovietiche.
Tutte le risorse della città furono mobilitate nella cruenta battaglia per resistere ai tedeschi, che esaurirono progressivamente le loro forze.
Intanto, anche nel Caucaso l’avanzata tedesca rallentò, finendo per fermarsi alle porte di Groznij, di Tbilisi e di Tuapse, per il maltempo e per la tenace difesa sovietica.
Operazione Urano
A metà novembre del 1942 i tedeschi erano invischiati nel sanguinoso scontro a Stalingrado, bloccati definitivamente nel Caucaso e ridotti sulla difensiva.
Hitler decise di mantenere le posizioni raggiunte poiché riteneva che l’Armata Rossa fosse ormai incapace di una reazione su ampia scala, mentre in realtà i russi preparavano una grande controffensiva (Operazione Urano), pianificata dai generali Georgij Žukov, Aleksandr Vasilevskij e Nikolay Voronov.
Il 19 novembre i sovietici sferrarono l’Operazione Urano: le doppie tenaglie della controffensiva colpirono i fianchi del saliente tedesco di Stalingrado, penetrando rapidamente in profondità nei fianchi e il 23 novembre i corpi corazzati e i corpi meccanizzati russi si congiunsero, accerchiando la VI Armata tedesca.
Gli assedianti si erano ora trasformati in assediati e i difensori in attaccanti. La sacca così formata vide intrappolati circa 300.000 uomini.
Paulus intendeva far uscire le sue forze dall’accerchiamento, ma Hitler gli ordinò di resistere a ogni costo. Con l’arrivo dell’inverno e il calo delle scorte di cibo e di medicinali, le forze di Paulus erano stremate. A metà dicembre Hitler permise al feldmaresciallo Erich von Manstein di andare in soccorso di Paulus, ma vietò a quest’ultimo di ritirarsi verso ovest per ricongiungersi con lui.
Hitler esortò le forze tedesche intrappolate a Stalingrado a combattere fino alla morte, ma il 31 gennaio 1943 Paulus si arrese, assieme a 24 generali e a circa 90.000 uomini congelati e affamati.
I combattimenti cessarono il 2 febbraio: la VI Armata tedesca era stata pressoché annientata.
Questa lunga e gigantesca battaglia segnò la prima grande sconfitta militare della Germania sul fronte orientale nonché l’inizio dell’avanzata sovietica verso ovest.
Oltre ad essere da molti considerata la più grande battaglia della guerra, Stalingrado si rivelò anche un punto di svolta dello scontro bellico tra Germania e URSS. Essa mostrò che la Wehrmacht non era invincibile, dissanguò le risorse militari tedesche e mise in evidenza le crescenti capacità belliche dell’Armata Rossa.
La controffensiva sovietica
Tra novembre e dicembre 1942 l’Armata Rossa attaccò, senza successo, anche nel settore di Ržev sulla direttrice di Mosca. Maggior fortuna ebbe invece l’operazione Piccolo Saturno nel settore del Don tra il 16 e il 30 dicembre: il fronte tenuto dall’VIII Armata italiana venne spezzato da una massiccia offensiva sovietica, che costrinse i reparti italiani dell’ARMIR (Armata Italiana in Russia) a una difficile ritirata attraverso la steppa gelata, inseguiti dalle colonne corazzate nemiche.
L’operazione Piccolo Saturno costrinse i tedeschi a rinunciare a qualsiasi tentativo di salvare la VI Armata di Paulus e a ripiegare ulteriormente verso ovest. All’inizio di gennaio 1943 Hitler si rese conto che l’accerchiamento dei tedeschi a Stalingrado avrebbe portato a un disastro ancora peggiore se non avesse ritirato le sue truppe dal Caucaso.
Così, mentre Paulus stava ormai per arrendersi, le forze di Kleist ripiegarono appena in tempo attraverso il Don a Rostov.
I tedeschi abbandonarono i territori conquistati nel Caucaso per evitare di rimanere tagliati fuori dall’avanzata dell’Armata Rossa su Rostov.
I sovietici puntarono a respingere il nemico fino ai fiumi Dnepr e Desna prima del disgelo primaverile. Intanto, a fine gennaio l’operazione Iskra portò al ristabilimento di collegamenti terrestri con Leningrado assediata, mentre il 2 febbraio i sovietici liberarono Kursk e Char’kov.
Con l’operazione Stella Polare, nel settore di Leningrado, tra febbraio e aprile i sovietici ripresero Demjansk ma fallirono nel tentativo di liberare completamente Leningrado dall’assedio.
Grazie all’afflusso di nuovi reparti corazzati, i tedeschi poterono organizzare una controffensiva. A partire dal 19 febbraio, le Panzer-Division del feldmaresciallo Erich von Manstein sferrarono un contrattacco nel settore di Char’kov: i sovietici furono colti di sorpresa, e i tedeschi riguadagnarono la linea del Donec e del Mius riconquistando la stessa Char’kov.
A metà marzo, con l’arrivo del disgelo primaverile, le operazioni si fermarono e il fronte si stabilizzò momentaneamente.
La battaglia di Kursk
Nella primavera del 1943, la nuova linea del fronte orientale presentava nel settore centrale presso Kursk un grosso saliente sovietico profondamente spinto verso ovest.
I tedeschi decisero di lanciare contro di esso un grande attacco a tenaglia che permettesse di ribaltare le sorti della guerra. Hitler rinviò più volte l’offensiva per dare tempo all’industria bellica di fornire alla Wehrmacht un grande numero di carri armati, ma il ritardo tedesco nello scatenare l’offensiva fornì ai sovietici l’opportunità di rafforzare e fortificare il saliente di Kursk, con mine e cannoni anticarro.
Il 5 luglio 1943 i tedeschi diedero inizio all’operazione Cittadella per schiacciare il saliente russo di Kursk. Seguirono otto giorni di durissimi scontri tra i carri armati tedeschi (tra cui i nuovi Panzer V Panther e Panzer VI Tiger I), le difese anticarro e i carri armati sovietici (i T-34).
Il 12 luglio i tedeschi, dopo aver subito grosse perdite, non furono più in grado di insistere nell’attacco, mentre i sovietici passarono a loro volta all’offensiva nella regione di Orël, a nord di Kursk, e sul fiume Mius.
I tedeschi, avendo subito pesanti e irrimediabili perdite, furono costretti a iniziare una lunga e sanguinosa ritirata. La battaglia di Kursk fu la più grande battaglia di carri armati del conflitto.
L’avanzata sovietica
L’offensiva sovietica si sviluppò progressivamente in tutti i settori principali del fronte. I tedeschi non ripiegarono senza combattere ma anzi organizzarono continui contrattacchi.
L’avanzata sovietica fu però inesorabile: il 5 agosto fu liberata Orël, mentre il 23 agosto la quarta battaglia di Char’kov si concluse con una vittoria sovietica dopo nuovi furiosi scontri tra carri armati. Ai primi di settembre crollò anche il fronte sul Mius, con la presa di Taganrog e Stalino.
A questo punto i tedeschi ripiegarono fino alla linea del Dnepr, poiché le perdite erano ingenti e le riserve corazzate esaurite. Ebbe così inizio la grande offensiva del basso Dnepr, con le truppe sovietiche all’inseguimento dell’esercito tedesco in ritirata che tentava di attestarsi sul fiume. Il progetto tedesco però fallì e i sovietici costituirono rapidamente numerose teste di ponte da cui partire per liberare anche l’Ucraina occidentale, dove Kiev fu liberata il 6 novembre 1943. L’Armata Rossa era passata all’offensiva anche più a nord, dove liberò Brjansk (17 settembre) e Smolensk (25 settembre).
Gran parte delle regioni dell’URSS occupate erano state liberate e i russi già preparavano l’offensiva invernale, mentre lo sbarco degli Alleati in Francia era imminente.