L’influenza “spagnola”

spagnola

L’influenza “spagnola” (1918-1920)

Virus A/H1N1 

>>> Le epidemie nella storia

Le influenze sono causate da diversi tipi di virus strettamente imparentati, ma una forma in particolare (il tipo A) è legata a epidemie letali. La pandemia del 1918-20 (la “spagnola”) fu causata da un virus influenzale di questo tipo, chiamato H1N1. Essa fu una delle più devastanti pandemie della storia dell’umanità per numero di contagiati e di morti. Il virus A/H1N1, tra il 1918 e il 1920 contagiò circa un terzo della popolazione mondiale, mietendo tra i 50 e i 100 milioni di morti, con una letalità superiore al 2,5%. Il termine “Spagnola” deriva dal fatto che furono i giornali nella Spagna neutrale a parlarne per primi, mentre negli Stati in guerra la censura proibiva di parlarne.  In tre ondate successive l’epidemia si estese al mondo intero, veicolata dai soldati, ma passò molto tempo prima che le autorità comprendessero che si trattava di un fenomeno di dimensioni globali.

 

Perché “spagnola”?

La pandemia comunemente nota come  “spagnola” flagellò il mondo intero tra il 1918 e il 1920, causando un numero di vittime ancora imprecisato ma sicuramente non inferiore ai 25 milioni di morti.  Il termine “spagnola” si basa su un presupposto falso, cioè che la pandemia di influenza avesse la sua origine in Spagna. In realtà, poiché la Spagna non partecipava alla guerra, gli organi di informazione erano più liberi e non erano soggetti alla censura militare come negli altri Paesi europei. Le notizie sull’epidemia furono quindi fornite dalla stampa nella loro drammatica realtà. Ne derivò che la Spagna si guadagnò immeritatamente la fama di paese fonte del contagio, dove l’epidemia era particolarmente virulenta. Gli Stati che erano impegnati nella Prima guerra mondiale, invece, censurarono la divulgazione dei dati epidemici da parte degli organi di stampa.

Come spesso accade nelle epidemie, fiorirono le più diverse denominazioni: fu chiamata fièvre de Parme in Francia, febbre delle Fiandre in Inghilterra, malattia bolscevica in Polonia, febbre di Bombay a Ceylon, febbre di Singapore a Penang, soldato di Napoli in Spagna.

Le origini della pandemia

Ma dove ha avuto origine la pandemia influenzale del 1918? I pareri sono discordanti, ma si possono ricondurre a tre ipotesi principali: origine cinese, origine francese, origine americana. 

– Virus cinese?

Una prima tesi sostiene che il primo focolaio del virus abbia avuto origine nello Shanxi, in Cina. dove nell’inverno del 1917 si manifestò una malattia che causava emottisi, dolori al petto e febbre. Questa ipotesi vedrebbe nelle caratteristiche agricole della Cina meridionale un ambiente favorevole all’evolversi del virus della spagnola, che dagli uccelli (in particolare le anatre), grazie a modificazioni genetiche, si sarebbe trasmesso ai maiali e poi all’uomo. I sostenitori di questa tesi osservano che in quest’area la popolazione non sarebbe stata colpita particolarmente dall’epidemia di “spagnola” nel 1918, perché immunizzata in quanto era già stata a contatto con il virus. Questa osservazione è contestata da altri studiosi, secondo i quali l’epidemia mostrò un andamento analogo a quello verificatori negli Stati Uniti e in Europa. 

– Virus “di guerra”?

Una seconda tesi sostiene che l’origine del contagio sarebbe da ricercare nel cuore dei teatri di guerra europei, in Francia. Qui gli Inglesi concentrarono le loro truppe nella stretta striscia di territorio tra il fronte e l’oceano Atlantico, costruendo un accampamento militare a étaples, un villaggio di pescatori a sud di Boulogne-sur-Mer. L’accampamento ospitava circa centomila persone e nelle sue vicinanze vi erano i campi per i prigionieri di guerra tedeschi, per le truppe francesi provenienti dall’Indocina e i Chinese Labour Corps (Clc). A étaples tra luglio e novembre 1916 giunsero quotidianamente molti malati e feriti provenienti dal fronte della Somme, dove infuriava la guerra, e si diffuse una malattia molto simile all’influenza, con sintomi simili alla “spagnola”, che si esaurì in marzo del 1917. La piccola epidemia, tuttavia, stranamente non colpì la popolazione civile, nonostante i contatti fossero frequenti.

– Virus americano?

Una terza tesi, infine, suggerisce che la pandemia abbia avuto le sue origini in Kansas (Stati Uniti). Nella contea di Haskell, dove si coltivava il mais e si allevavano polli e maiali, già nel gennaio 1918 i contadini cominciarono ad ammalarsi. Alcuni svilupparono la polmonite e morirono. L’epidemia svanì a metà marzo. Nel marzo del 1918 gli Stati Uniti erano in guerra con la Germania e gli imperi centrali da undici mesi. Dalla contea di Haskell provenivano reclute verso il campo di addestramento di Camp Funston, che accoglieva circa 20000 militari. Qui in marzo del 1918 furono registrati i primi casi di influenza spagnola, dopo che il 4 marzo il cuoco Albert Gitchell, proveniente dalla contea di Haskell, si presentò febbricitante in infermeria. Nel giro di poche ore più di un centinaio di suoi commilitoni mostrarono i sintomi della stessa patologia, e altri ancora si sarebbero ammalati nelle settimane seguenti. Nel mese di aprile le truppe statunitensi giunsero in Europa, portando con sé il virus. Ad aprile l’epidemia fu segnalata in Francia, con il contagio delle truppe franco-britanniche e della popolazione civile. In giugno furono colpite l’Inghilterra e l’Italia, ma contemporaneamente anche la Cina e il Giappone. 

Nonostante la tesi sull’origine americana sia oggi quella più accreditata, gli epidemiologi discutono ancora sulle origini della “spagnola”. In ogni caso, questa nuova forma influenzale si diffuse a livello globale anche grazie al massiccio e rapido movimento di truppe nel mondo. La drammaticità del conflitto finì per mascherare i tassi di mortalità insolitamente elevati del nuovo virus.

Le ondate pandemiche

– La prima ondata epidemica

La prima ondata epidemica iniziò in marzo del 1918 e non è ancora certo se il ceppo virale primaverile fosse in relazione con il virus che si scatenò nella tarda estate, con effetti drammatici in autunno e inverno.  All’inizio dell’epidemia, durante la fase primaverile, le autorità sanitarie non imponevano la denuncia dei casi di influenza, come fu in seguito stabilito a partire dagli Stati Uniti quando scoppiò la seconda ondata, pertanto le informazioni sono scarse e frammentarie. 

Quando giunse la prima ondata influenzale la guerra era in corso e le truppe di entrambi gli schieramenti ne furono colpite, costringendo decine di migliaia di militari a letto. Il generale in capo tedesco Erich von Ludendorff affermò in seguito che l’influenza aveva contribuito a fiaccare l’offensiva bellica degli Imperi Centrali, scatenata nel mese di luglio, determinandone la sconfitta.

– La seconda ondata epidemica

L’influenza calò di intensità nel giro di qualche settimana, ma si trattò di una tregua temporanea. Quando ad agosto si manifestò la seconda ondata, all’alta contagiosità del morbo si aggiunse un elevato tasso di mortalità. Queste due caratteristiche si accentuarono tra l’autunno e l’inverno, con tassi di mortalità insolitamente alti tra i giovani adulti. 

La pandemia si scatenò in un lasso di tempo limitato, negli ultimi mesi della Prima guerra mondiale, quando i paesi belligeranti erano stremati e le organizzazioni sanitarie militari e civili versavano in condizioni disastrose. Le trincee e gli accampamenti sovraffollati della Prima guerra mondiale furono un terreno fertile per la malattia. Quando le truppe si spostavano, il contagio viaggiava insieme a loro. Tra settembre e dicembre del 1918 l’epidemia entrò nella sua fase più letale, con il maggior numero di morti. Quando la crisi raggiunse il culmine, i servizi sanitari cominciarono a non farcela più. Gli ammalati si ammassavano negli ospedali militari e l’organizzazione sanitaria scricchiolava, tanto che si era costretti a organizzare ospedali da campo per accogliere i malati. Impresari funebri e becchini erano in difficoltà e fare funerali individuali divenne impossibile. Molti dei morti finirono in fosse comuni.

– La terza ondata epidemica

La fine del 1918 portò una pausa nella diffusione del virus. Ma nel gennaio 1919 ebbe inizio una terza ondata, anche se ormai la malattia era meno letale e calò il tasso di mortalità. L’Australia, che fin dall’inizio della pandemia influenzale aveva immediatamente imposto la quarantena, riuscì a sfuggire agli effetti più virulenti di essa fino all’inizio del 1919, quando la malattia arrivò anche lì, causando la morte di migliaia di persone. Si ebbero casi di decessi per influenza fino al 1920, ma nell’estate del 1919 le politiche sanitarie e la mutazione genetica del virus misero sostanzialmente fine all’epidemia.

Il quadro clinico della “spagnola”

La stragrande maggioranza di chi fu colpito dall’influenza spagnola riportò sintomi non molto diversi da quelli di una normale influenza: mal di gola, mal di testa, febbre. Come per una normale influenza, la maggior parte di coloro che si ammalarono nella primavera del 1918 guarì. Solo in rari casi la malattia ebbe conseguenze più serie e i più sfortunati morirono, come accadeva ogni inverno.

Quando però la malattia ritornò in agosto, la situazione si fece seria e quella che era cominciata come una classica influenza divenne ben più pericolosa. Sempre più spesso essa portava con sé complicanze come la polmonite batterica, che causava la maggior parte dei decessi. I malati sviluppavano rapidamente gravi difficoltà respiratorie e sugli zigomi comparivano macchie scure di colore bluastro dovute alla carenza di ossigeno (cianosi) che nel giro di poche ore si estendevano da un orecchio all’altro. Nei pazienti più gravi l’insufficienza respiratoria si manifestava acutamente, perché i polmoni venivano invasi dall’essudato, e compariva una febbre altissima. Il malato peggiorava vistosamente e moriva per soffocamento in poco tempo, dopo essere stato in preda al delirio e aver perduto conoscenza. Spesso l’emorragia riempiva i polmoni di sangue, provocando vomito e sanguinamento dal naso, facendo alla fine soffocare le persone nei propri fluidi. Quando il malato guariva, l’esito era in ogni caso quello di una lunga convalescenza e il pieno recupero psico-fisico era estremamente lento e difficoltoso. 

Le stime sul numero di vittime

La pandemia di influenza che colpì il mondo nel 1918 fu uno dei maggiori disastri sanitari, per morbilità e per mortalità, che abbiano flagellato l’umanità. Tuttavia le stime sul numero dei morti causati dalla “spagnola” variano enormemente, anche per la difficoltà di valutare il numero di vittime dei paesi asiatici, africani e sudamericani, dove le statistiche erano poco affidabili. Così, le valutazioni dei diversi studiosi oscillano da 20 a 50 o addirittura a 100 milioni di vittime. Se le stime più alte fossero quelle effettive, la pandemia del 1918 avrebbe ucciso più persone di quante ne abbiano uccise insieme le due guerre mondiali. In ogni caso, anche la stima più bassa non è certo trascurabile, poiché si tratterebbe di un numero di morti superiore a quello della Prima guerra mondiale. Diversamente da altre sindromi influenzali del passato, la Spagnola colpiva in prevalenza i giovani in buona salute piuttosto che gli anziani. Il tasso di mortalità più elevato si registrò infatti tra gli individui di età compresa tra i 20 e i 40 anni e il 99% dei decessi si verificò tra persone con meno di 65 anni. 

Il virus A/H1N1

Gli scienziati cercarono di dare risposte ai grandi dilemmi che l’epidemia di spagnola poneva, ma possedevano ancora pochi strumenti per progredire. Molti di loro erano convinti che l’agente eziologico che causava l’influenza fosse il bacillo di Pfeiffer, scoperto nel 1892 da Johann R. Pfeiffer, allievo di Robert Koch. Tuttavia il bacillo di Pfeiffer si trovava molto raramente nell’espettorato, negli essudati pleurici e meningei, nel cavo naso-faringeo e mai nel sangue dei malati. Dopo un numero infinito di prove e riscontri incrociati in tutto il mondo, numerosi scienziati cominciarono a dubitare che il bacillo di Pfeiffer fosse davvero responsabile della devastante epidemia influenzale. Non mancavano, del resto, le prove del fatto che lo si ritrovava anche al di fuori delle epidemie di influenza nella flora faringea, nasale o bronchiale e in un certo numero di malati affetti da malattie polmonari. Così, una parte del mondo scientifico iniziò a sostenere che il microrganismo, associato ad altri germi, era all’origine di comuni affezioni polmonari e bronchiali, ma non era la causa specifica dell’influenza. 

Solo negli anni Trenta fu però dimostrata per la prima volta l’origine virale dell’infezione che aveva generato la pandemia del 1918. Il ceppo H1N1 responsabile di questa influenza colpiva i sistemi immunitari in maniera particolarmente forte, tale da innescare una tempesta citochinica così intensa da inondare di fluidi i polmoni dei soggetti infettati, ostruendo le vie aeree respiratorie. Molti studiosi ritengono che paradossalmente gli anziani e i bambini siano stati meno colpiti dagli esiti più gravi causati dal virus H1N1 proprio per il fatto di avere un sistema immunitario più debole e meno reattivo all’infezione. Inoltre, si ipotizza che la bassa mortalità tra le persone anziane sia dipesa dal fatto che erano state già a contatto con un ceppo influenzale molto simile, nel corso dell’Ottocento.

L’influenza spagnola in Italia 

Anche in Italia la “spagnola” esordì con una prima ondata nella primavera del 1918 (durò poco più di due mesi), che non ebbe caratteristiche particolarmente virulente, così come invece accadde con la seconda ondata, che si manifestò in autunno. Gli Italiani vittime dell’epidemia furono circa 600.000, e il numero complessivo di malati oscilla tra i cinque e i sei milioni. Secondo l’Istituto Centrale di Statistica, la regione che ebbe in assoluto il numero maggiore di morti fu la Lombardia (36.653), seguita dalla Sicilia (29.966). Le regioni con i più alti tassi di mortalità per “spagnola” furono Lazio, Sardegna e Basilicata. Quanto alla professione, gli italiani più colpiti furono quelli che per ragioni di lavoro erano più facilmente a contatto con persone contagiate: infermieri, negozianti, autisti. La malaria, la tubercolosi, le malattie croniche di cuore furono tra i fattori più importanti che predisponevano a un esito infausto.

La censura in vigore durante la guerra fu severa e i giornali, spesso praticando un’attenta autocensura, contribuirono all’oscuramento del fenomeno. Ci fu, inoltre, la tendenza a ridimensionare le morti dovute alla malattia, a fronte delle centinaia di migliaia di vittime del conflitto, che assumevano una valenza “patriottica”. Infine, fu fonte di imbarazzo e di frustrazione, per gli scienziati e i medici impegnati nelle strutture sanitarie, l’impotenza di fronte al morbo, per il quale non erano in grado di dare risposte certe.

Laura Spinney, 1918. L’influenza spagnola. La pandemia che cambiò il mondo.

https://www.storicang.it/a/spagnola-grande-pandemia-1918_14762 

https://www.storicang.it 

https://it.wikipedia.org/wiki/Influenza_spagnola 

https://www.triesteallnews.it/2020/05/01/coronavirus-e-come-la-spagnola-il-mistero-delle-svalbard/ 

https://www.pharmastar.it/news/primo-piano/covid-19-e-influenza-spagnola-del-1918-analogie-differenze-e-lezioni-del-passato-valide-anche-per-il-presente-31859 

https://www.epicentro.iss.it/focus/flu_aviaria/editorialescienze 

https://www.infezmed.it/media/journal/Vol_15_4_2007_8.pdf 

https://www.pathologica.it/article/view/31 

https://it.euronews.com/2020/06/03/come-fini-la-pandemia-di-influenza-spagnola-e-quali-lezioni-1918-coronavirus-covid19 

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