Pearl Harbor e la guerra nel Pacifico

Pearl harbor

Pearl Harbor e la guerra nel Pacifico

Seconda guerra mondiale

 

La guerra in Cina

Nel 1931 i giapponesi avevano invaso la Manciuria (Cina nord-orientale) e nel 1932 avevano creato lo stato fantoccio del Manciukuo. 

Negli anni successivi, essi iniziarono un rafforzamento militare nella Cina settentrionale e si scontrarono con la resistenza del governo nazionalista cinese di Chiang Kai-shek, che però era impegnato in una guerra civile contro i comunisti guidati da Mao Zedong. 

Il cosiddetto “incidente del Ponte Marco Polo” a Pechino, del 7 luglio 1937, fece iniziare le ostilità su vasta scala tra Cina e Giappone. I giapponesi presero Shanghai in novembre e la capitale cinese Nanchino in dicembre del 1937. 

La loro occupazione della Cina si estese ma avevano bisogno di molte truppe per mantenere il controllo del territorio e fronteggiare la forte resistenza dei nazionalisti e dei comunisti che, temporaneamente, attenuarono i loro contrasti interni in nome della comune lotta al nemico esterno. 

L’espansione giapponese

Sicché, metà dell’esercito giapponese era ancora impegnato in Cina quando nel settembre del 1939 la guerra scoppiata in Europa offrì al Giappone la possibilità di ampie conquiste nel sud-est asiatico.

Le vittorie tedesche nei Paesi Bassi e in Francia, nell’estate del 1940, incoraggiarono il premier giapponese, il principe Fumimaro Konoe, a guardare con interesse alle colonie olandesi e francesi nonché a quelle britanniche. 

Le Indie orientali olandesi (Indonesia), l’Indocina francese e la Malesia controllata dagli inglesi erano ricche di materie prime (stagno, gomma, petrolio), essenziali per l’economia industriale del Giappone. Se il Giappone fosse riuscito a impadronirsi di queste aree avrebbe potuto divenire autosufficiente sul piano economico e diventare la potenza dominante nell’Oceano Pacifico. 

Tuttavia i giapponesi dovettero fare i conti, in primo luogo, con l’opposizione degli Stati Uniti ai loro piani di espansione territoriale. Nel settembre del 1940, quando le truppe giapponesi entrarono nel nord dell’Indocina, in seguito a un forzato accordo con il governo francese di Vichy, il governo degli Stati Uniti protestò. Inoltre, il 27 settembre il Giappone, la Germania e l’Italia firmarono il Patto Tripartito, che li impegnava all’aiuto reciproco in caso di attacco “da parte di una potenza non già impegnata in guerra“. Il 13 aprile 1941 il Giappone siglò anche un patto di neutralità con l’URSS. D’altra parte, dopo l’approvazione in marzo della legge “affitti e prestiti” (Lend-Lease Act), il 14 agosto Churchill e Roosevelt avevano firmato la “Carta atlantica”, in cui si manifestava la ferma intenzione di combattere contro il nazifascismo.

L’embargo statunitense

Il 26 luglio 1941, in seguito a un accordo con la Francia di Vichy, le forze giapponesi iniziarono ad occupare alcune basi nell’Indocina meridionale. 

Le manovre espansionistiche nipponiche incontrarono però l’ostilità sempre più manifesta da parte del governo statunitense: dopo che già erano state varate restrizioni al commercio tra le due nazioni, nel luglio del 1941 il presidente Franklin Delano Roosevelt decretò il congelamento dei beni nipponici presenti negli Stati Uniti e un embargo totale sulle esportazioni di petrolio verso il Giappone, decisioni seguite nei giorni successivi da misure analoghe da parte dei governi britannico e olandese. 

Queste misure furono devastanti per l’economia giapponese, privata in un sol colpo del 90% delle sue importazioni di petrolio e del 75% del suo commercio con l’estero.

Così, il governo giapponese decise la guerra contro gli Stati Uniti, a meno che non si fosse raggiunta un’intesa nell’arco di poche settimane. 

Il generale Tōjō Hideki, succeduto a Konoe a metà ottobre del 1941, continuò a trattare con gli Stati Uniti, che però in cambio della fine del blocco fecero richieste che il Giappone non poteva accettare: la rinuncia al Patto Tripartito; il ritiro delle truppe giapponesi dalla Cina e dal sud-est asiatico; un regime di “porte aperte” per il commercio in Cina.

Così, lo stato maggiore giapponese stese i suoi piani definitivi per una guerra contro gli Stati Uniti. 

L’ammiraglio Isoroku Yamamoto, comandante della flotta da guerra nipponica, pianificò la distruzione della flotta statunitense nelle prime ore di guerra, con un attacco aereo a sorpresa contro la base di Pearl Harbor nelle Hawaii e con una serie di attacchi coordinati, volti a conquistare estesi territori dell’Estremo Oriente. 

I giapponesi intendevano creare un vasto perimetro difensivo nel Pacifico, confidando in tal modo che gli USA sarebbero stati costretti a cercare una pace negoziata e a riconoscere al Giappone il suo impero.

Pearl Harbor e l’inizio della guerra

Pearl harborI tempi dell’attacco erano stati calcolati in modo che i primi aerei giapponesi giungessero sull’obiettivo mezz’ora dopo che l’ambasciatore giapponese a Washington avesse consegnato al segretario di Stato statunitense Cordell Hull la dichiarazione di guerra. 

Pur essendo una modalità formalmente corretta, perché l’attacco sarebbe iniziato a stato di guerra dichiarato, i giapponesi avrebbero però potuto sfruttare il fattore sorpresa, perché l’esiguo preavviso non avrebbe consentito di predisporre una difesa adeguata. 

Per una serie di contrattempi la dichiarazione di guerra fu consegnata quando l’attacco era già iniziato da oltre mezz’ora.

L’attacco alla base di Pearl Harbor iniziò qualche minuto prima delle otto del mattino di domenica 7 dicembre (lunedì 8 secondo l’ora di Tokyo), preceduto dal messaggio in codice “Tora! Tora! Tora!” (tigre in giapponese) trasmesso via radio dal capitano Mitsuo Fuchida per comunicarne l’inizio. Circa 360 aerei furono lanciati sulla base in due ondate. L’attacco durò circa due ore e fu devastante.

Gli americani furono colti di sorpresa e le otto corazzate presenti nel porto furono colpite (sei furono in seguito riparate e rimesse in servizio). Tre incrociatori, tre cacciatorpediniere, un posamine e altre navi furono danneggiati. Più di 180 aerei furono distrutti e altri danneggiati, più di 2.300 soldati furono uccisi e oltre 1.000 feriti. Le perdite giapponesi furono invece relativamente modeste. Tuttavia, al momento dell’attacco le tre portaerei della flotta americana del Pacifico erano in mare e non subirono danni. Si salvarono dalla distruzione la centrale elettrica, il cantiere navale e i depositi di combustibile.

http://www.boston.com/bigpicture/2010/12/pearl_harbor_69_years_ago_toda.html

Il “giorno dell’infamia”

L’8 dicembre del 1941 il presidente degli Stati Uniti Roosevelt annunciò al Congresso la decisione di entrare in guerra contro il Giappone iniziando il suo discorso con la frase: “Ieri, 7 dicembre 1941, una data che entrerà nella storia come il giorno dell’infamia, gli Stati Uniti d’America sono stati improvvisamente e deliberatamente attaccati dalle forze aeree e navali dell’impero del Giappone”. 

Anche la Gran Bretagna l’8 dicembre dichiarò guerra al Giappone, mentre tre giorni dopo la Germania e l’Italia dichiararono guerra agli Stati Uniti. 

Nel 1940 l’opinione pubblica americana era contraria a entrare in guerra contro le potenze del Patto tripartito, come Roosevelt voleva, ma dopo Pearl Harbor gli americani cambiarono del tutto parere. 

Alcuni storici si sono spinti a sostenere che il presidente avrebbe ritardato l’invio di informazioni al comando della Flotta del Pacifico circa l’attacco giapponese per avere un indiscutibile motivo per entrare in guerra. Tale tesi non è suffragata da prove solide, anche se è molto probabile che Roosevelt non fosse affatto dispiaciuto per la decisione del Giappone.

La guerra mise in campo l’enorme potenzialità economica e produttiva degli Stati Uniti. Nuove e vecchie industrie si misero al servizio della produzione bellica, in particolare per la costruzione di navi e di aerei. 

Fra luglio 1940 e agosto 1945 negli USA furono fabbricati: 300.000 aerei, 86.000 carri armati, 3 milioni di mitragliatrici, 71.000 navi da guerra, 55 milioni di tonnellate di naviglio mercantile. 

Enormi furono gli investimenti per perfezionare e sviluppare nuove invenzioni, nuovi strumenti e nuove armi. Emblematico fu il cosiddetto Progetto Manhattan, finalizzato alla produzione della bomba atomica, un’impresa che solo le enormi potenzialità economiche degli Stati Uniti potevano consentire di realizzare.

La guerra lampo giapponese

In concomitanza con l’attacco a Pearl Harbor i giapponesi lanciarono un’impressionante serie di offensive simultanee contro i possedimenti statunitensi ed europei in Estremo Oriente. Il Giappone, sfruttando la carenza di mezzi degli Alleati a causa degli impegni nella guerra in Europa, tra il 1941 e il 1942 riuscì a effettuare una grande espansione territoriale e s’impadronì di larga parte del Pacifico: Filippine, Malesia, Singapore, Indonesia e Birmania. Inoltre i giapponesi minacciarono l’India britannica e, dopo lo sbarco in Nuova Guinea e la conquista dell’isola di Guadalcanal (luglio 1942), anche l’Australia.

Furono colpiti alcuni possedimenti statunitensi: bombardata Midway nelle prime ore del 7 dicembre, i giapponesi invasero e occuparono Guam il 10 dicembre e l’Isola di Wake (8 – 23 dicembre). 

Un pesante attacco aereo nipponico l’8 dicembre distrusse al suolo gran parte delle forze aeree statunitensi dislocate a protezione delle Filippine, seguito dallo sbarco delle truppe giapponesi a Luzon il 22 dicembre. Le forze statunitensi nell’arcipelago, al comando del generale Douglas MacArthur, dovettero abbandonare Manila in mano al nemico il 2 gennaio 1942 e ripiegare sulla piazzaforte di Bataan, dove rimasero assediate. MacArthur si sottrasse alla cattura e riparò in Australia, mentre le sue forze dovettero capitolare il 9 maggio.

L’8 dicembre 1941 i bombardieri giapponesi distrussero la potenza aerea britannica a Hong Kong e i difensori britannici e canadesi si arresero all’attacco terrestre dalla penisola di Kowloon il 25 dicembre. Intanto, truppe giapponesi invasero la Thailandia, dove il governo siglò un trattato di alleanza con il Giappone. In Birmania, le truppe giapponesi presero Moulmein e si avvicinarono a Rangoon e Mandalay. Gli sbarchi giapponesi in Malesia, iniziati l’8 dicembre, accompagnati da attacchi aerei, travolsero le modeste forze australiane e indiane. La corazzata britannica Prince of Wales e l’incrociatore da battaglia Repulse in partenza da Singapore furono affondati da aerei giapponesi il 10 dicembre. 

La battaglia di Singapore

Entro la fine di gennaio 1942, due divisioni giapponesi con supporto aereo e corazzato avevano occupato tutta la Malesia eccetto la strategica piazzaforte di Singapore. 

Gli inglesi avevano fortificato Singapore dal lato del mare considerando impossibile per un grande esercito aprirsi la strada attraverso l’entroterra malese. Invece, i reparti giapponesi del generale Tomoyuki Yamashita, addestrati alla guerra nella giungla, riuscirono ad attaccare il lato terrestre della base, che gli inglesi avevano lasciato inadeguatamente difeso. 

La battaglia di Singapore si concluse il 15 febbraio 1942 con la resa della guarnigione britannica, australiana e indiana.

La capitolazione di Singapore lasciò indifeso l’arcipelago delle Indie orientali olandesi, ricco di materie prime strategiche: i giapponesi invasero il Borneo olandese e l’isola di Celebes a partire dall’11 gennaio 1942, proseguendo verso Timor e Sumatra in una grande manovra a tenaglia contro l’isola centrale di Giava. 

Le forze alleate tentarono di organizzare la resistenza ma subirono una pesante sconfitta navale nella battaglia del Mare di Giava il 27 febbraio. Il giorno seguente le truppe giapponesi sbarcarono a Giava, la cui guarnigione capitolò il 12 marzo. 

Nel frattempo, il 20 gennaio truppe giapponesi provenienti dalla Thailandia avevano iniziato l’invasione della Birmania, per assicurare la difesa delle recenti conquiste e interrompere i rifornimenti bellici ai cinesi. I britannici dovettero abbandonare Rangoon l’8 marzo e ritirarsi dall’intera Birmania entro il maggio seguente. 

L’offensiva giapponese era ormai vicina all’Australia: il 23 gennaio truppe nipponiche occuparono Rabaul, nell’isola della Nuova Britannia, subito trasformata in un’importante base navale e area. 

Il 19 febbraio le portaerei giapponesi bombardarono pesantemente il porto di Darwin sulla costa settentrionale dell’Australia. A ciò fece seguito lo sbarco di alcuni reparti a Lae e Salamaua sulla costa nord-orientale della Nuova Guinea.

Fine della guerra lampo giapponese 

Tuttavia, anche la guerra lampo nipponica fu arrestata in maggio nel Mar dei Coralli e in giugno nei pressi delle isole Midway.

 I giapponesi volevano impadronirsi della base di Port Moresby in Nuova Guinea, per poter poi minacciare l’Australia. 

Tra il 4 e l’8 maggio 1942 nel Mar dei Coralli si svolse una dura battaglia aeronavale, la prima combattuta solo da aerei, senza diretto contatto tra le unità navali. Il 7 maggio i giapponesi affondarono un cacciatorpediniere e una petroliera, mentre gli aerei statunitensi affondarono una portaerei e un incrociatore. 

Il giorno successivo, gli aerei giapponesi affondarono la portaerei statunitense Lexington e danneggiarono la portaerei Yorktown, ma la grande portaerei giapponese Shokaku dovette ritirarsi, gravemente danneggiata. 

Alla fine i giapponesi furono costretti ad abbandonare l’impresa. 

La battaglia di Midway

L’esito della battaglia del Mar dei Coralli fu una vittoria parziale giapponese, ma gli alleati riuscirono a impedire il loro sbarco in Nuova Guinea e, per la prima volta dall’inizio del conflitto, contrastarono in modo efficace un attacco del Giappone.

PacificoDopo i deludenti risultati della battaglia del Mar dei Coralli, i giapponesi si proposero di conquistare l’isola di Midway. 

Alla ricerca di una resa dei conti navale con la flotta statunitense del Pacifico e contando sulla propria superiorità numerica, i giapponesi radunarono quattro portaerei pesanti e tre leggere, due porta idrovolanti, 11 corazzate, 15 incrociatori, 44 cacciatorpediniere, 15 sottomarini e piccole imbarcazioni varie. 

La flotta del Pacifico degli Stati Uniti aveva solo tre portaerei pesanti, otto incrociatori, 18 cacciatorpediniere e 19 sottomarini. Gli americani, tuttavia, ebbero il vantaggio di conoscere in anticipo le intenzioni dei giapponesi, grazie alla decrittazione delle trasmissioni radio in codice della marina giapponese. 

Le navi giapponesi dirette alla presa di Midway Island furono attaccate il 3 giugno dai bombardieri statunitensi, mentre erano ancora a oltre 800 chilometri dal loro obiettivo. 

Le portaerei giapponesi furono in grado di lanciare i loro aerei contro Midway il 4 giugno, ma nella battaglia che ne seguì ondate di bombardieri statunitensi, provenienti dalle portaerei e dall’isola, affondarono le quattro portaerei giapponesi e un incrociatore. 

I giapponesi iniziarono a ritirarsi nella notte tra il 4 e il 5 giugno. La portaerei statunitense Yorktown fu affondata da un siluro il 6 giugno, ma Midway era stata salvata dall’invasione.

La battaglia di Midway fu un punto di svolta nella guerra nel Pacifico. Fermata l’avanzata giapponese, gli Stati Uniti sferrarono le loro prime controffensive.

Guadalcanal

guadalcanalNel 1943 le potenze del “Patto tripartito” persero ovunque l’iniziativa. La controffensiva alleata nel Pacifico fu lanciata, appena due mesi dopo Midway. 

Il 7 agosto 1942 gli Alleati sbarcarono sull’isola di Guadalcanal, nelle Salomone meridionali, dove i giapponesi stavano allestendo una base aerea. L’aeroporto, una volta completato, avrebbe potuto minacciare le rotte dei rifornimenti tra gli Stati Uniti, l’Australia e la Nuova Zelanda. 

I giapponesi fecero un ultimo tentativo di riconquistare l’isola e la base aerea, fra furono sconfitti nella decisiva battaglia navale di Guadalcanal, a metà novembre. In dicembre il Giappone rinunciò alla riconquista di Guadalcanal e in febbraio del 1943 abbandonò definitivamente l’isola.

All’abbandono di Guadalcanal da parte dei giapponesi fece subito seguito, nel febbraio 1943, un’avanzata delle forze alleate nel teatro di guerra delle Isole Salomone. Mentre in mare e in aria si susseguivano gli scontri, i reparti terrestri alleati furono impegnati nelle campagne della Nuova Georgia (giugno-agosto 1943) e di Bougainville (iniziata in novembre e conclusa solo con la fine della guerra).

Leapfrogging strategy

La difficoltà nello sconfiggere le ostinate guarnigioni giapponesi e le forti perdite registrate spinsero gli Alleati a ideare la Leapfrogging strategy (“strategia del salto della rana”). 

Invece di assaltare direttamente le piazzeforti giapponesi, queste venivano aggirate conquistando le isole vicine e infine rese inoffensive tramite una serie di periodici bombardamenti aerei e navali. 

Questa strategia fu applicata nei confronti della grande base di Rabaul: la piazzaforte giapponese fu isolata da sbarchi di truppe statunitensi e australiane nel sud della Nuova Britannia e infine neutralizzata tramite una serie di bombardamenti in novembre, rimanendo in mano giapponese fino alla fine della guerra ma non svolgendo più alcun ruolo nelle operazioni belliche.

Nuova Guinea e Isole Marshall

Tra il novembre 1942 e il gennaio 1943 truppe statunitensi e australiane agli ordini del generale Douglas MacArthur respinsero i giapponesi dalla Nuova Guinea orientale. Poi avanzarono lungo la costa settentrionale con sbarchi anfibi e lanci di paracadutisti fino a cacciare i giapponesi dalle loro basi di Lae e Salamaua, tra aprile e settembre. 

L’avanzata proseguì quindi in direzione della Penisola di Huon, teatro di un’altra campagna proseguita fino ai primi di marzo del 1944.

Nel solo 1943 gli statunitensi avevano allestito 51 nuove portaerei seguite da altre 44 l’anno successivo, mentre nello stesso biennio i giapponesi ne vararono solo 12. 

Questa enorme disponibilità navale consentì agli americani di creare una seconda grande flotta con cui condurre, contemporaneamente agli attacchi nelle Salomone e in Nuova Guinea, una grande avanzata nel Pacifico centrale. I primi obiettivi furono gli arcipelaghi delle Isole Gilbert e delle Isole Marshall, per aggirare la grande piazzaforte giapponese di Truk. Tra il 20 e il 23 novembre 1943 i marines diedero l’assalto all’atollo di Tarawa, conquistata dopo sanguinosi combattimenti che videro il pressoché totale annientamento della guarnigione giapponese. L’offensiva nelle Marshall continuò con la conquista di Kwajalein tra il 31 gennaio e il 3 febbraio 1944 e di Eniwetok tra il 17 e il 23 febbraio. La base aeronavale di Truk fu colpita da una serie di bombardamenti aerei e rimase del tutto isolata per il resto del conflitto

Seconda guerra mondiale

 

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